domenica 11 novembre 2012

Seconda condanna per il caso Vatileaks (Il Tempo)


VATILEAKS

QUATTRO MESI, RIDOTTI A DUE CON LA CONDIZIONALE, AL TECNICO DELLA SEGRETERIA DI STATO

Condannato anche l'informatico

Alla lettura della sentenza Sciarpelletti ha abbracciato la moglie

Seconda condanna per il caso Vatileaks.
Dopo l'ex maggiordomo papale Paolo Gabriele, è stato condannato anche Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della Segreteria di Stato, che il Tribunale vaticano ha riconosciuto colpevole di favoreggiamento e a cui ha inflitto due mesi di reclusione, con sospensione condizionale e non menzione. La corte presieduta da Giuseppe Dalla Torre lo ha ritenuto colpevole «per avere egli aiutato a eludere le investigazioni dell'autorità», e ha determinato la pena in quattro mesi (il massimo era cinque anni), poi ridotti a due in virtù delle attenuanti. Il Tribunale ha accolto le richieste dell'accusa, rappresentata dal promotore di giustizia Nicola Picardi, che ha chiesto la condanna per aver «ostacolato la ricerca della verità» sul furto e la diffusione di carte riservate. Questo per le due differenti versioni fornite il 25 e il 26 maggio al momento dell'arresto, per un solo giorno, dopo che nel cassetto gli fu trovata la busta con documenti (in parte corrispondenti al capitolo «Napoleone in Vaticano» del libro «Sua Santità» di Gianluigi Nuzzi). Sciarpelletti dapprima disse che la busta, con l'intestazione di suo pugno «Personale P. Gabriele» e il timbro dell'Ufficio Informazioni della Segreteria di Stato, gli era stata data da Gabriele perchè ne esaminasse il contenuto. Poi cambiò versione dicendo che gli era stata data da mons. Carlo Maria Polvani, capo proprio dell'Ufficio Informazioni, nipote di mons. Viganò, che con le sue denunce diede involontariamente il via al caso, perchè la consegnasse a Gabriele. Stupito il difensore Gianluca Benedetti, che aveva chiesto l'assoluzione e ha annunciato appello. Ma anche mons. Polvani, testimone in aula. Alla sentenza Sciarpelletti si è stretto alla moglie, e non ha rilasciato commenti. Nella sua deposizione, il tecnico informatico, 48 anni, da 20 in servizio in Vaticano, ha spiegato che quando la busta fu trovata nella scrivania non ne ricordava l'esistenza, risalente a due anni e mezzo prima, e non ne conosceva il contenuto. Ne attribuì prima l'origine a Gabriele per il nome scritto sulla busta. Poi cambiò versione quando gli si fece notare che c'era il timbro dell'Ufficio e fece il nome di Polvani. Ma ha detto che non erano certezze. Nella busta, c'erano una e-mail firmata con uno pseudonimo, «Nuvola», un «libello» corrispondente a «Napoleone in Vaticano» (che secondo l'istruttoria sarebbe stato fornito da Luca Catano, persona il cui ruolo non è stato ancora ben chiarito), e un altro estratto da un sito web. Documenti di cui si è attribuito la provenienza proprio Paolo Gabriele, condotto a testimoniare in aula dalla cella della Gendarmeria, che ha detto di essere stato lui a darli a Sciarpelletti perchè tra i due c'era un rapporto di amicizia. 
Toni drammatici nella testimonianza di Polvani, che ha detto di essere venuto a conoscenza della busta solo il 13 agosto, alla pubblicazione del rinvio a giudizio di Gabriele e Sciarpelletti. «Affermo solennemente di non aver mai confezionato, sottratto, trasferito o passato alcun documento coperto da segreto di uffico. Lo giuro sul battesimo e sul sacerdozio», ha detto il prelato. Nell'udienza, infine, è spuntato anche il nome di un altro prelato, indicato in istruttoria da Sciarpelletti come persona che in passato gli avrebbe consegnato una busta e ricordato dal pm Picardi. Si tratta di mons. Piero Pennacchini, ex vice direttore della sala stampa della Santa Sede. Al proposito, il portavoce vaticano padre Lombardi ha detto comunque che «era cosa abituale» che Sciarpelletti nell'ufficio ricevesse buste da portare in altri uffici.

© Copyright Il Tempo, 11 novembre 2012 consultabile online anche qui.

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