giovedì 8 novembre 2012

In un nuovo libro dell'arcivescovo Agostino Marchetto sulla storiografia del concilio Vaticano II (Farina)

In un nuovo libro dell'arcivescovo Agostino Marchetto sulla storiografia del concilio Vaticano II

Secondo contrappunto


Raccolte dalla Libreria Editrice Vaticana 28 recensioni ad altrettante pubblicazioni uscite tra il 1998 e il 2011


A Roma, nella Sala Pietro da Cortona del Campidoglio, nel pomeriggio di mercoledì 7 novembre viene presentato il libro dell'arcivescovo Agostino Marchetto Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, pagine 386, euro 35). Dopo i saluti di don Giuseppe Costa e di Giuseppe Lepore, intervengono il cardinale Agostino Vallini, Andrea Riccardi, il cardinale Raffaele Farina e Giuseppe Pisanu, moderati dal direttore del nostro giornale. Del cardinale bibliotecario e archivista emerito di Santa Romana Chiesa anticipiamo l'intervento.


di Raffaele Farina


Ho incontrato monsignor Marchetto per la prima volta a Monaco di Baviera al primo e unico congresso internazionale organizzato dai Monumenta Germaniae Historica, dal 16 al 19 settembre del 1986. Il congresso aveva per tema le Falsificazioni nel Medio Evo (Fälschungen im Mittelalter), ed ebbe la prolusione di Umberto Eco sulla «Tipologia della falsificazione»; Eco assaporava il successo del suo romanzo Il nome della rosa, sublimazione della falsificazione, pubblicato nel 1980 e tradotto in tedesco due anni dopo. L'arcivescovo Agostino Marchetto arrivò a Monaco dal Madagascar dove era nunzio apostolico da un anno, primo incarico come diplomatico della Santa Sede.

Il titolo del suo contributo al congresso di Monaco fu: «La “fortuna” di una falsificazione. Lo spirito dello Pseudo-Isidoro aleggia nel nuovo Codice di Diritto Canonico?». Titolo sottilmente provocatorio, che dice uno stile di scrittura e di discorso, che non è assente dalla pubblicazione che stasera viene presentata: Il Concilio Ecumenico Vaticano II: per la sua corretta ermeneutica.
Un volume diviso chiaramente in due parti, una breve riguardante la recezione del concilio Vaticano II e l'altra più ampia riguardante l'ermeneutica del medesimo concilio. L'ermeneutica, dopo essere stata esaminata nei due Papi del concilio, Giovanni XXIII e Paolo VI, e in alcune fonti private, viene individuata e descritta in tre categorie: ermeneutica della rottura, ermeneutica della rottura nella tendenza tradizionalistica, ermeneutica della riforma nella continuità. Questa disanima della recezione del concilio, se si eccettuano le sei esposizioni sistematiche finali, inediti del nostro autore, raccoglie le recensioni da lui fatte a 28 pubblicazioni degli anni 1998-2011.
Nell'anno 2005, monsignor Marchetto aveva pubblicato un volume analogo che riguardava 49 opere da lui recensite dal 1990 al 1998, e che portava il titolo Il Concilio Ecumenico Vaticano II: Contrappunto per la sua storia. Si tratta di una storia della storiografia, la prima, come dice giustamente Marchetto a pagina 300 del nostro volume. E questo nostro volume ne è la continuazione: 35 anni complessivi di storia della storiografia del concilio.
Il volume che presentiamo stasera contiene 52 contributi, nella maggior parte recensioni, dei quali 18 inediti. Tralasciando altri dettagli formali, m'introduco alla sostanza della pubblicazione con una citazione di Benedetto XVI.
Il Papa nel Natale del suo primo anno di pontificato, esattamente il 22 dicembre 2005, ha rivolto alla Curia Romana, radunata come ogni anno per gli auguri al Papa in occasione del Santo Natale, un discorso, che faceva un bilancio dell'anno trascorso; l'ultimo punto toccato è stato quello del concilio. La struttura del volume di Marchetto segue il discorso del Pontefice distribuendo il materiale raccolto, partendo da una distinzione tra recezione ed ermeneutica e dividendo le opinioni correnti, esaminate nelle recensioni, in tre categorie: ermeneutica della rottura, ermeneutica della rottura intesa in senso tradizionalistico ed ermeneutica della continuità o, più precisamente, come si esprime Benedetto XVI, ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità. Il termine “riforma” ha una pregnanza molto forte e la distinguerei dal rinnovamento. La riforma fa riferimento alla «purezza e integrità della dottrina, senza attenuazioni o travisamenti» (sono parole di Giovanni XXIII citate da Benedetto XVI). La distinzione tra riforma e aggiornamento (termine usato da Giovanni XXIII e poi da Paolo VI) è espressa con chiarezza da Paolo VI, quando parla della necessità che la Chiesa prima di ogni altra cosa si riformi al suo interno, torni in qualche maniera alle fonti, alle origini e di conseguenza -- una conseguenza non necessariamente temporanea -- si presenti al mondo in maniera adeguata alle diverse situazioni.
Prendendo come punto di riferimento il concilio e i suoi due Papi, si può individuare, anche se non in maniera assolutamente precisa, un uso logico e coerente dei termini aggiornamento, riforma e rinnovamento.
L'aggiornamento potrebbe definirsi la volontà della Chiesa cattolica di rendersi credibile a quelli che sono fuori di essa; la riforma invece la volontà della Chiesa di rendersi credibile a sé stessa, ai suoi membri. L'aggiornamento tocca elementi più legati allo spazio e al tempo, all'istituzione; si propone un adattamento ai tempi e ai luoghi diversi; la riforma tocca elementi più sostanziali da una parte e più individuali dall'altra: si propone una purificazione interiore del singolo e della collettività cercando di ri-prendere una forma ideale primitiva (reformatio, restauratio, ecclesiae primitivae forma), liberandola dalle incrostazioni dello spazio e del tempo. Il rinnovamento della Chiesa consiste in questa duplice dinamica, esterna (aggiornamento) e interna (riforma), che -- pur se talvolta condizionata nel suo evolversi dalle situazioni del tempo -- è sempre coordinata e guidata dall'inscrutabile movimento dello Spirito, che anima la Chiesa, la custodisce e la conduce.
Dopo il Vaticano II si è partiti da un aggiornamento, cioè da una volontà della Chiesa cattolica di rendersi credibile a quelli che sono fuori di essa (Giovanni XXIII), a una riforma, cioè a una volontà di rendersi credibile prima di tutto a se stessa, ai suoi membri (sta qui l'azione paziente di Paolo VI: prima di rendere credibile la Chiesa agli “altri”, o meglio per rendere credibile la Chiesa agli “altri”, vale a dire aggiornarla, bisogna renderla credibile a se stessa, ai suoi membri, riformarla). Qui sta il rinnovamento (restauratio et renovatio universae Ecclesiae), mai finito, della Chiesa: riforma e aggiornamento. Vorrei poi richiamare un'ovvietà, che i testi dei Papi del concilio. Benedetto XVI parla di una giusta ermeneutica del concilio, cioè di una giusta chiave di lettura dei testi e di applicazione di essi. Se consideriamo l'applicazione del concilio così come è avvenuta e come tutt'ora avviene, ci troviamo di fronte a un quadro molto più complesso e variegato che non quello della lettura dei testi, e di come gli avvenimenti del villaggio globale in cui viviamo condizionano e coinvolgono anche chi non vuole o non vorrebbe essere coinvolto in responsabilità di effetti imprevisti.
Testi “operativi” del concilio che hanno avuto una regolamentazione applicativa inadeguata e fragile o non l'hanno avuta affatto hanno creato una serie di problemi e di gravamina che tutt'ora ci opprimono. La casuale coincidenza della conclusione del concilio nel 1965 e della diffusione dei testi conciliari e degli inizi della loro applicazione dal 1965 al 1975 si mescola e si scontra con gli inizi della contestazione studentesca e universitaria del 1968 e di quella delle Università e Facoltà pontificie e cattoliche dal 1972 in avanti. La forte carica emotiva e talvolta esplosiva della contestazione ha contaminato lo svolgimento applicativo del concilio. Altri avvenimenti e altre situazioni si potrebbero citare; ovviamente tutto ciò si è verificato non dappertutto e non alla stessa maniera e con la stessa intensità.
Quel che vorrei sottolineare è l'importanza sempre più rilevante nei nostri tempi dell'aspetto gestionale, della indispensabile governabilità, della preparazione dei quadri dirigenti.
La forma è importante, diceva Giovanni Falcone, «se stai attento alla sostanza ma non alla forma, ti fregano sia nella forma che nella sostanza...». Se è vero, come è vero che nel presentare la dottrina della Chiesa e la Chiesa stessa dobbiamo farlo in corrispondenza alle esigenze del nostro tempo, dobbiamo curare anche la forma, la governabilità, la preparazione delle persone ai compiti gestionali e amministrativi, in modo che ciò che viene stabilito e approvato si esegua esattamente e nei tempi e nelle modalità stabilite.
Le recensioni occupano, come ho già detto, la maggior parte delle pagine del libro. Esse sono tipiche dello stile del nostro autore, non nella nota forma, alla quale siamo abituati, di trovare all'inizio una descrizione sistematica del contenuto della pubblicazione e poi gli eventuali apprezzamenti positivi o critici che siano. In genere, Marchetto entra decisamente nella critica, indicando accuratamente la pagina e il testo. A chi è addentro all'argomento egli offre una miniera, direi una fabbrica -- la miniera si esaurisce -- di materiale storico-critico, soprattutto sulla storia della recezione e dell'ermeneutica del Vaticano II.
Ci sono poi, alla fine del volume, i contributi dal numero 28 al 35, quasi tutti inediti, eccetto uno, che si leggono con grandissimo interesse, ricchi di contenuto e di originalità.
Rimane anche in questi testi chiara l'impronta dell'autore, il taglio cioè delle scelte precise, della chiarezza del discorso, senza attenuanti e soprattutto senza ambiguità. C'è un'intervista e una rassegna che anticipa in piccolo le pagine del volume che viene presentato questa sera. V'invito a leggere all'inizio questa parte finale; ritengo possa aiutare la più piena comprensione del resto del volume.
Di questa ricchezza vorrei dare un piccolo saggio. Lo prendo dalla lunga recensione (pagine 180-192) del volume di John O'Malley, Che cosa è successo nel Vaticano II (Milano, Vita e Pensiero 2010, pag. XII+384). Marchetto esamina il primo capitolo soffermandosi anche sulla terminologia usata ed esaminata dall'autore. Si parla dello «spirito del concilio». L'indeterminatezza di questa parola, «spirito», si concreta e diviene verificabile solo qualora si faccia attenzione allo stile del concilio stesso, all'unicità della sua forma letteraria e del suo linguaggio e se ne traggano le conseguenze.
«Esaminando la “lettera” (forma e terminologia) -- dice O'Malley a pagina 54 -- è possibile giungere allo spirito». Certo, dice monsignor Marchetto, se si vuol dire qui che lo «spirito» lo è di questo corpus di documenti, noi siamo d'accordo con l'autore.
Ma se un tale «spirito» allontana il Vaticano II dagli altri concili ecumenici, ne fa un unicum, per cui non si tiene conto della continuità dottrinale-dogmatica-pastorale-disciplinare del magistero straordinario conciliare, anzi ne attesta la rottura con quanto lo precede, non possiamo aderire al pensiero di O'Malley. Qual è il mio auspicio? Che monsignor Marchetto ci dia un'0pera sistematica, completa ed esauriente della storia del concilio.

(©L'Osservatore Romano 8 novembre 2012)

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