domenica 4 novembre 2012

Il fondamento biblico dell'architettura sacra (Andrea Dall'Asta)

Il fondamento biblico dell'architettura sacra

Uno spazio per la Luce originaria


Anticipiamo uno stralcio di uno degli articoli pubblicati sul numero in uscita della rivista «La Civiltà Cattolica».


di Andrea Dall'Asta


La luce definisce un'esperienza originaria dell'uomo. La luce fa vivere le forme e i colori. Individua gli oggetti, creando tra loro relazioni. Colpisce la loro superficie e ne definisce le ombre. Dà loro profondità. Permette di vedere ogni singola realtà e di situarla nello spazio, rendendola autonoma, facendola emergere dal contesto.

Luce e spazio sono strettamente connessi. Di fatto, l'architettura è la capacità di plasmare e di condensare la luce, di organizzarla grazie a un'articolazione di superfici. Tuttavia, la luce non permette tanto che gli oggetti siano visti o percepiti. Non si tratta di illuminare uno spazio cartesiano, in vista di un risultato ottico funzionale alla percezione. Lo spazio non è mai un semplice contenitore.
Grazie alla luce, lo abitiamo, lo viviamo. Lo spazio è un luogo fisico, ma la sua forza risiede nella sua carica espressiva e simbolica, mai riconducibile a una logica razionale-funzionale. Luce e spazio sono strettamente uniti nella stessa esperienza di abitare il mondo. In questo senso, lo spazio dischiude un orizzonte di senso.
La luce rinvia a un tema centrale dell'architettura cristiana. Un fondamento biblico-teologico è all'origine di un'estetica della luce. È una riflessione che inizia sin dal momento della creazione, in cui la luce è separata dalle tenebre (cfr. Genesi, 1, 3-5), per compiersi nel Nuovo Testamento, in cui il Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, parla di se stesso in termini di luce (cfr. Giovanni, 8, 12).
La luce è simbolo della presenza del divino che rivela il senso del reale. Senza luce, la realtà apparirebbe infatti oscura, indistinta, avvolta nelle tenebre, «in-forme», senza senso. La dialettica luce/tenebre caratterizza tutta la teologia cristiana ed esprime simbolicamente il rapporto bene-male. Da questa intuizione, troppo facilmente dimenticata, inizia la storia dell'architettura cristiana e forse, dell'architettura tout court. Di fatto, dal punto di vista architettonico, la luce non può essere separata dall'oscurità, ma esse si compenetrano, interagendo nella definizione dello spazio.
Come il cristianesimo ha cercato di «intrappolare» la vitalità della luce, trasformandola in «spazio»? Dai primi secoli un'estetica teologica ha re-interpretato il pensiero antico. La concezione neoplatonica della luce, strettamente legata alla ricerca della bellezza come cammino di ascesi dell'uomo verso Dio, occupa un posto centrale.
Se Dio infatti è luce e bellezza infinita, l'universo è come una splendida cascata luminosa e una discesa di bellezze che scaturiscono dalla sorgente originaria in una sfolgorante irradiazione di splendori sensibili, che prendono corpo nella creazione. Dio, l'Altissimo, l'Immutabile, il Trascendente, accorda a tutto il creato, secondo gradi di intensità differenti, una partecipazione di se stesso. È questo il punto di partenza per interpretare l'architettura gotica.
Nel coro della cattedrale di Saint-Denis (1136), l'abate Suger inaugura una concezione della luce senza precedenti dal punto di vista architettonico. Progetta le cappelle del coro le une accanto alle altre, senza soluzione di continuità, in modo da eliminare le pareti divisorie. Il muro romanico è aperto. Le massicce pareti, divise in campate e illuminate da un rosone nella facciata che ne metteva in evidenza la direzionalità, separavano lo spazio interno da quello esterno, come a fare emergere un rifiuto del mondo: “Morimondo”, dice il nome di un'abbazia milanese.
Le piccole finestre strombate permettevano alla luce di entrare, creando una forte intensità luminosa, concentrata in alcuni punti che determinavano un percorso. Lo splendore di alcuni raggi di luce dava senso al silenzio di un'oscurità profonda. Come se queste piccole aperture che catturavano il movimento della luce potessero incarnare il desiderio dell'uomo che vive nelle tenebre di aprirsi alla luce, a un cammino verso Dio. Nulla di decorativo o di ornamentale era messo in scena.
Grazie a questo forte chiaro-scuro, lo spazio era caratterizzato da volumi solidi, saldi, risoluti. L'uso delle vetrate gotiche crea invece uno sfondo luminoso continuo, una lux continua. Tutto lo spazio è immerso nella luce. Le ombre sono come annullate da un sottile gioco di luci e di controluci. Tutto appare trasfigurato dalla luce filtrata dalle vetrate. La cattedrale è una Gerusalemme celeste in cui la luce rivela lo splendore di Dio. La cattedrale è la città che scende dall'alto, dono divino, costruita con materiali trasparenti che si lasciano attraversare dalla luce. È la città celeste, dove le tenebre sono state definitivamente vinte, per lasciare il posto a una luce del giorno che non conosce tramonto, in quanto Dio vi è sempre presente.
La nuova estetica della luce manifesta lo splendore della città di Dio che, come dice il libro dell'Apocalisse, risplende nello sfolgorio dell'oro e delle pietre preziose. L'estetica teologica neoplatonica appare ben riassunta nell'iscrizione che Suger fa mettere sul portale della cattedrale in cui è espresso l'aiuto della luce naturale nel cammino verso la luce di Cristo. Tutto è chiamato a trasformarsi in luce. Le vetrate del coro possono così essere definite sacratissimae vitrae, in quanto lasciano passare la luce divina, la Vera Luce. Luminismo e verticalismo concorrono qui a creare uno spazio in cui luce e architettura sono strettamente unite in una coerente visione teologica.
L'architettura diventa uno spazio di contemplazione, di rivelazione, una teofania. È la via anagogica dell'estetica neoplatonica, intesa come percorso di elevazione, di risalita dello spirito e dell'intelletto verso il divino. Se tutto è luce che si riverbera e si irradia nella creazione, tutta la realtà allude all'assoluto, all'invisibile.
Tutto parla attraverso segni, allusioni, rimandando al Creatore. E la bellezza di Dio si esprime innanzitutto attraverso colui che ne rivela la forma: il Cristo. Il Verbo incarnato, lumen de lumine, come dice il Credo niceno, è la via che conduce alla Bellezza ultima, alla Luce originaria, che è Dio stesso.

(©L'Osservatore Romano 4 novembre 2012)

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