sabato 10 novembre 2012

Fine processo Vatileaks, condannato anche Sciarpelletti. La ricostruzione di TMNews


Vaticano/ Fine processo Vatileaks, condannato anche informatico

Quattro mesi scontati a due e pena sospesa per Sciarpelletti

Città del Vaticano, 10 nov. (TMNews) 

Con la condanna di Claudio Sciarpelletti a quattro mesi, scontata a due mesi e sospesa in base alle norme clementi di una legge emanata da Paolo VI nel 1969, si conclude - tra luci e ombre - il processo Vatileaks sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede. Il 26 ottobre era stato condannato a 18 mesi di reclusione il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, principale imputato dell'indagine vaticana. Oggi, a sorpresa, è stato condannato per favoreggiamento anche Sciarpelletti, tecnico informatico della segreteria di Stato, in passato amico personale di Gabriele.
Il nome di Sciarpelletti compare per la prima volta il 13 agosto, quando il Vaticano pubblica la requisitoria del 'promotore di giustizia' (pm) Nicola Picardi. Solo allora l'opinione pubblica viene informata del fatto che, due giorni dopo l'arresto di Paolo Gabriele, il 25 maggio, era stato arrestato per una notte un secondo imputato, Claudio Sciarpelletti, inizialmente accusato di concorso nel reato di furto aggravato dei documenti riservati poi finiti sui giornali italiani e nel libro di Gianluigi Nuzzi 'Sua Santità', violazione di segreto e favoreggiamento. Caduti i primi due capi di imputazione, Sciarpelletti viene rinviato a giudizio per la sola fattispecie del favoreggiamento. 
All'avvio del processo a carico del maggiordomo, l'avvocato del tecnico informatico ottiene che la posizione del suo assistito venga stralciata e che si celebri per lui un processo a parte, iniziato lunedì scorso e concluso oggi.
Il coinvolgimento di Sciarpelletti - indicato da una informativa anonima della segreteria di Stato come colluso con Paolo Gabriele - riguarda una busta rinvenuta da gendarmi vaticani e guardie svizzere in un cassetto della sua scrivania nella stessa segreteria di Stato. Dentro - è emerso nel corso dei due processi - vi era una mail con lo pseudonimo "nuvola" come intestazione; materiale non specificato scaricato da internet; e un "libello" intitolato 'Napoleone in Vaticano', il cui contenuto rappresenta uno dei capitoli del libro di Nuzzi e riguarda la figura del comandante della gendarmeria, Domenico Giani, nonché i conflitti di interessi in cui sarebbe incorso un gendarme, Gianluca Gauzzi Broccoletti, per attività di security svolta in Italia parallelamente al proprio impiego in Vaticano. Alla perquisizione svolta dallo stesso Gauzzi Broccoletti nell'ufficio di Sciarpelletti assistono anche il vice-comandante della Guardia svizzera William Kloter, il comandante Daniel Rudolf Anring e l'Assessore della segreteria di Stato, monsignor Brian Wells. La "Polizia Giudiziaria", ha scritto l'accusa nella requisitoria, "ritiene che lo Sciarpelletti aveva tenuto un comportamento contraddittorio e reticente" e lo arresta. Da lì in poi Sciarpelletti fornisce agli inquirenti vaticani testimonianze contraddittorie.
E' Sciarpelletti stesso a indicare agli inquirenti il cassetto della sua scrivania nella quale viene rinvenuta la busta. Ma il 25 maggio l'informatico dichiara alla polizia giudiziaria che era stato Gabriele, due anni prima, a consegnargli tutto il materiale contenuto nella busta; il giorno dopo dichiara al promotore di giustizia che "la busta¿ non mi è stata consegnata dal Sig. Paolo Gabriele e la parola scritta 'Personale P. Gabriele' è stata da me apposta¿ Questa busta¿ mi fu consegnata da W (omissis dietro cui si nasconde mons. Carlo Maria Polvani, ndr.) affinché io la conservassi e la consegnassi a Paolo Gabriele". Il 29 maggio, infine, dichiara spontaneamente ai gendarmi: "Mi ricordo, solo ora, di aver ricevuto una busta simile, sempre chiusa, con apposti alcuni timbri¿, di cui ignoro il contenuto, da parte di X", omissis dietro ci si nasconde - è emerso oggi su indicazione del pm - mons. Piero Pennacchini, ex vice-direttore della sala stampa vaticana. "Per il mio lavoro - aggiunge -capita di portare corrispondenza per l'aiutante di camera e per i segretari del Santo Padre". La pubblica accusa rileva "le differenti, contraddittorie dichiarazioni rese dallo Sciarpelletti" e lo rinvia a giudizio per "favoreggiamento", ovvero, per l'ordinamento vaticano, l'atteggiamento di chi intende aiutare qualcuno "a eludere le investigazioni dell'autorità".
Il legale di Sciarpelletti, Claudio Benedetti, avvocato rotale, ha puntato a dimostrare che tra il suo assistito e il maggiordomo del Papa c'era sì amicizia, ma non "grande amicizia"; che comunque Sciarpelletti, da venti anni al servizio della Santa Sede senza nessun incidente, non avrebbe messo a repentaglio il suo lavoro per un amico; che era sostanzialmente estraneo alla busta ("quando è stata trovata la busta ero scioccato, non ricordavo neppure di averla conservata, non ne ho mai letto il contenuto, gendarmi e guardie svizzere possono testimoniare che ho collaborato sin dall'inizio", ha affermato oggi Sciarpelletti); che, inoltre, la busta non contiene documenti riservati della Santa Sede e perciò la stessa accusa non la ritiene penalmente rilevante; e che, di conseguenza, non sussiste il reato di favoreggiamento.
Il tribunale ha però messo in discussione l'impostazione della difesa, ritenendo che la oggettiva contraddittorietà delle dichiarazioni di Sciarpelletti erano motivate non già - come sostenuto dalla difesa - da uno stato emotivo confuso, bensì dall'intenzione di "eludere le investigazioni dell'autorità".
All'udienza odierna, seconda e ultima del processo-stralcio, hanno testimoniato i due ufficiali che hanno perquisito l'ufficio di Sciarpelletti - il comandante degli Svizzeri Kloter, il gendarme Gauzzi Broccoletti - e mons. Polvani. Doveva testimoniare anche il comandante della gendarmeria, Domenico Giani, che però era assente per impegni istituzionali, come già accaduto alla prima udienza di lunedì. Se Kloter e Gauzzi si sono limitati a confermare la collaborazione offerta da Sciarpelletti nel corso della perquisizione, è stata la testimonianza di mons. Polvani a riservare maggiori sorprese. Oltre ad essere capo dell'ufficio Informazione e Documentazione della segreteria di Stato, Polvani è nipote di mons. Carlo Maria Viganò, attuale nunzio apostolico negli Usa ma, un paio di anni fa, segretario del Governatorato vaticano che ha scritto le lettere riservate di denuncia della "corruzione" presente in Vaticano e proteste con il cardinale Tarcisio Bertone per il trasferimento oltreatlanico che, finite sui giornali italiani, hanno dato la stura al caso Vatileaks.
Polvani ha per un verso confermato - elemento registrato con soddisfazione dalla difesa di Sciarpelletti - la emotività di Sciarpelletti. "Per me Sciarpelletti era una persona con indubbie qualità ma sfortunatamente ha la tendenza a impasticciarsi", ha detto, "davanti ai problemi si fa prendere dall'agitazione e talvolta non focalizza bene", ha proseguito, precisando, però, che "non aveva in ufficio atteggiamenti irriguardosi o sleali, ma talvolta gli capitava di essere molto critico versdo l'Istituzione". Per un altro verso, il presule ha smentito l'idea - portata avanti dall'avvocato Benedetti - che tra Sciarpelletti e Gabriele non vi fosse una grande amicizia: "Personalmente ho visto Gabriele nei nostri uffici due o tre volte, quando veniva da Claudio, ma mi hanno detto che ci veniva spesso e Claudio si vantava che erano molto amici. Non ho mai capito però se erano anche imparentati o provenienti dalla stessa regione". Circostanza quest'ultima smentita dal maggiordomo del Papa.
Polvani ha anche affermato: "Della busta io ho saputo l'esistenza solo il 13 agosto, quando sono state pubblicate la requisitoria e la sentenza istruttoria". Quanto all'arresto di Sciarpelletti il 25 maggio, dalle parole di Polvani non è emerso che ne fosse al corrente: "Prima di giugno-luglio Claudio era molto espansivo e cordiale con me, poi si era chiuso nel suo ufficio con aria imbronciata, non sapevo cosa gli stesse accadendo. Sono andato a trovarlo e lui mi ha detto frasi che lì per lì non ho capito: 'Tu mi dovrai capire, perdonare: l'ho fatto per i miei figli e la mia famiglia'". Polvani ha spiegato di aver capito il senso di queste frasi solo dopo il 13 agosto.
Monsignor Polvani, infine, con voce incrinata dall'emozione, ha ringraziato il tribunale vaticano, i gendarmi e i suoi "superiori" in segreteria di Stato di non avere avuto "dubbi" sul suo conto, e poi ha affermato: "Mio nonno Giovanni Polvani era presidente del Consiglio nazionale delle ricerche e rettore all'università di Milano e visse con la contestazione il peggiore periodo della nostra storia. Gli studenti fecero irruzioni nel suo studio, sfasciarono il crocifisso e gli dissero: 'La prossima volta te lo sfasciamo in testa'. Non dico quello che passarono mio padre e i miei zii nel corso degli anni di piombo. La mia famiglia decise di lasciare l'Italia e andare all'estero. Mia madre piangeva ogni notte. Stare all'estero mi ha permesso di studiare in Francia e negli Stati Uniti, ma se sono prete oggi lo devo alle lacrime di mia madre e alla figura di Giovanni Paolo II. Vedere ora stupidaggini e idiozie che io sarei un frondista e che sarei addirittura ammiratore di Che Guevare non ha nulla a che fare con la mia traiettoria. Spero che alla fine trionfi la giustizia, il perdono e la verità e rinnovo la mia fiducia ai miei superiori e alla segreteria di Stato". Polvani, che al tribunale aveva portato anche una foto di suo nonno a testa bassa tra due schiere di studenti che lo contestavano, faceva riferimento alle accuse contenute nei suoi confronti in un noto pamphlet scritto tempo fa sul quindicinale cattolico francese 'L'Homme Nouveau' dall'abate Claude Barthe, nella quale questo sacerdote conosciuto e stimato da Benedetto XVI aveva inserito Viganò e suo nipote, Polvani appunto, nella lista di presunti "frondisti" di Curia accusati di remare contro il Papa e il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Nell'articolo, intitolato 'Y a-t-il une opposition romaine au Pape?', si affermava che Polvani è un ammiratore retro di Che Guevara". La madre di Polvani ha assistito alla prima udienza del processo-stralcio ma era assente oggi.
Monsignor Polvani, ad ogni modo, è stato 'scagionato' oggi da Paolo Gabriele. "Il contenuto della busta è stato consegnato da me, la busta non ricordo, certo il timbro non l'ho messo io", ha detto l'ex maggiordomo del Papa. La busta, consegnata a Sciarpelletti due anni fa, recava il timbro dell'ufficio Informazione e Documentazione della segreteria di Stato, guidato da mons. Carlo Maria Polvani. Un timbro che - ha precisato Polvani nella sua deposizione - si trovava accanto ad un fax in un corridoio lungo il quale passavano molte persone ed era usato "una ventina" di volte al giorno. Paolo Gabriele ha detto, più in generale, che faceva vedere spesso a Sciarpelletti le informazioni che trovava su internet relative a "discorsi del Papa, magistero della Chiesa o notizie di attualità che potevano essere di qualche interesse per chi ama la Chiesa", ma ha precisato di non aver "mai consegnato documenti di ufficio a Claudio Sciarpelletti".
Nel corso degli interrogatori, il maggiordomo del Papa aveva spiegato di aver passato i documenti a Sciarpelletti per "fargli capire il clima che si viveva in quel momento in Vaticano. Era un amico con cui mi confidavo e lui si è offerto di prendere informazioni su Catano e Vangeli", due personaggi citati nella sentenza di rinvio a giudizio senza molti dettagli. Luca Catano, in particolare, sarebbe un uomo - presentato a Gabriele dal suo amico di gioventù Enzo Vangeli - che si sarebbe spacciato per magistrato e avrebbe affermato di essere esperto della gendarmeria. Sarebbe Catano ad aver fornito a Gabriele alcuni dei documenti incriminati: "Catano mi ha chiesto di verificare i documenti che mi ha consegnato - ha detto Gabriele - e io gli ho risposto che mi sembravano ridicoli".
Personaggi dai contorni incerti, insomma, come non appare chiaro il ruolo avuto da monsignor Pennacchini. Non è la prima volta che durante il processo viene fatto il nome di qualche ecclesiastico in pensione, gettando un'ombra sulla sua attività che non si dirada in assenza di dettagli. Sebbene la segreteria di Stato abbia smentito l'esistenza di complici di Paolo Gabriele, nel primo processo Vatileaks, quello a carico del maggiordomo, sono stati citati ad esempio quattro cardinali di Curia (Sardi, Comastri, Cottier e Dias) e un vescovo (Cavina di Carpi) indicati dal maggiordomo come "suggestiona tori", pur senza essere correi della fuga di documenti.
La menzione di Pennacchini, peraltro, ha suscitato la dura reazione dell'avvocato di Sciarpelletti, Claudio Benedetti, che, giungendo a sbattere un fascicolo sul banco, ha contrattaccato: "E' inammissibile che venga fatto il suo nome. Io mi impegno a scrivere memorie difensive per non far venire fuori i nomi, e voi fate questo nome?". L'unico momento di distensione nel corso del dibattimento odierno è stato causato da un imprevisto incidente. Dopo la deposizione del tecnico informatico, il cancelliere del tribunale ha interrotto i lavori segnalando che il computer faceva le bizze e si rischiava di perdere il file con il verbale. "Ci vorrebbe un tecnico informatico", ha commentato Sciarpelletti, suscitando le risate dei giudici - Giuseppe Dalla Torre, Paolo Papanti Pellettier e Venerando Marano - e degli altri presenti. "Può sembrare uno scherzo, ma il mio assistito può aiutarvi", ha chiosato l'avvocato Benedetti. Alla fine per risolvere il problema informatico è intervenuto il gendarme Gauzzi Broccoletti, teste ed esperto informatico.

© Copyright TMNews

Nessun commento: