giovedì 1 novembre 2012

Dalla solennità di Tutti i santi alla festa di Cristo Re la liturgia inquadra l'esistenza in una prospettiva che supera la storia (Zanchi)

Dalla solennità di Tutti i santi alla festa di Cristo Re la liturgia inquadra l'esistenza in una prospettiva che supera la storia

Di fronte allo scandalo della vita


di Giuliano Zanchi


Non è difficile capire come mai, anche nella vita cristiana, la memoria dei defunti costituisca il sentimento religioso probabilmente più sentito e più diffuso. Essa tocca lo «scandalo» essenziale della vita. Rappresenta l'innesco universale dell'interrogazione religiosa. Offre in ogni caso la «procedura simbolica» necessaria a elaborare il trauma della morte. La paleontologia del resto ci insegna, con dovizia di documenti archeologici talvolta persino struggenti, come il rito stesso sia nato per gestire simbolicamente la morte. Nella cura dei defunti troviamo uno degli elementi originali dell'umanizzazione. Si capisce che l'uomo nasce quando comincia a seppellire i morti. Si può dunque capire come mai attorno alla memoria dei defunti si accumuli un sentire così potente. Non si dovrebbe sentenziare sul fenomeno con troppa leggerezza.

L'intenzione cristiana della memoria dovuta ai defunti sta naturalmente sullo sfondo della speranza pasquale. In questo senso il cristianesimo, lungo la sua parabola storica, ha saputo anche modificare profondamente il senso dell'uomo per la morte. La cultura dell'inumazione, vale a dire l'abitudine di seppellire il corpo dei defunti, in sostituzione delle pratiche antiche della cremazione, deve al cristianesimo e al principio base dell'incarnazione la sua generale diffusione. La ragione di fondo della memoria cristiana dei defunti è dunque la resurrezione della carne. Lo sforzo della pratica liturgica è quello di muoversi sempre in tensione fra questa profonda memoria arcaica del culto per i morti e la sua iscrizione all'interno della promessa evangelica della Pasqua. La cura pastorale si muove costantemente su questo insidioso terreno di discernimento. Spesso in effetti, specialmente oggi, persino il credente attraversa l'esperienza della morte con uno sgomento disarmato, in ogni caso senza assumere quell'esperienza come forma della fede. La commemorazione dei defunti perciò, specialmente nella nostra cultura secolare, rappresenta insieme il banco di prova delle inquietudini dell'uomo contemporaneo e l'esercizio simbolico del loro possibile riscatto.
Nel «giorno dei morti» i cimiteri si riempiono. Per molta gente è l'unica occasione di ascolto di una parola cristiana sulla morte. Per qualcuno è l'unica occasione di ascolto di una parola cristiana, semplicemente. La responsabilità ecclesiale su questo è enorme. La retorica dottrinalistica non incanta più l'uomo che accetta di farsi domande appena un poco profonde. La parola cristiana deve in questi casi diventare umile. Non precipitarsi a proporre annunci di al di là retorici. Accettare la fatica di sostare sull'inquietudine dell'uomo che si interroga. Saprà conquistarsi forse l'autorevolezza a infondere quella fiammella di fede sufficiente a rendere meno tenebroso il transito indecifrabile del morire e condurre anche gli sguardi più confusi verso le parole promettenti di Gesù. Non è che abbiamo molto di più. Ma neanche molto di meno.
I santi sono tutti morti. Non è una battuta. Si potrebbe dire che la festa di Tutti i santi è in fondo una commemorazione dei defunti considerata sotto un altro punto di vista. Il cono visuale da cui osservare la celebrazione dei santi è quello della vocazione ultima della vita cristiana. Essa parla di ciò che il cristiano è chiamato a essere. Su questo la storia ha poi generato le sue accentuazioni prestazionistiche, le sue saghe, le sue epopee, le sue retoriche, persino le sue invenzioni. Si sa che il culto dei santi ha sostituito la varietà del politeismo pagano. Ma il rivestimento del processo storico non cancella nulla del processo originario. Nella lingua di san Paolo, come si sa, “santo” è il nome con cui viene chiamato ogni credente. Il battesimo difatti rende santi. Lega alla santità del Dio di Gesù. Siamo santi non solo come Lui è santo, ma soprattutto perché Lui è santo. È da questa radice battesimale che sorge il principio di una comunione di tutti i santi, che significa la prefigurazione della comunione universale dell'umanità nella vita divina.
La liturgia, come si sa dalla sua storia, è stata anche molto colonizzata dal fascino letterario e dalla potenza folkloristica della vita dei santi. In realtà la loro presenza era quella surrettizia di antichi numi tutelari che aveva eroso lo spazio ordinario di un cammino liturgico dettato dalla sequela Christi. La riforma conciliare della liturgia ha molto ripulito l'anno liturgico di questo ingombro. Alla fine questa scelta è andata a vantaggio dei santi. Ha contribuito a rimettere in primo piano il senso preciso e cristiano della loro memorabilità.
Il testo evangelico che impreziosisce la liturgia della solennità di Tutti i santi è su questo decisamente eloquente e spiritualmente definitivo. Il senso della santità viene difatti letto attraverso lo splendore letterario delle beatitudini. In esse Gesù si presenta come il Mosè della nuova alleanza, impegnato a consegnare, stavolta con le sue stesse parole e mediante la sua stessa autorità, una nuova legge, in cui non si dice più cosa bisogna fare e cosa non bisogna fare, ma come bisogna essere. In questo nuovo decalogo Gesù si rivolge a tutti coloro che hanno scelto di vivere in modo mite, cercando la pace, affamati di giustizia, fedeli alla povertà, privi di malizia. Si rivolge a loro sapendo che il loro modo di vivere non dà lo stesso immediato risultato di coloro che invece hanno scelto di vivere con scaltrezza, nell'astuzia, mediante l'abilità di portare la legge vicino ai propri interessi, costantemente impegnati nella competizione e nell'antagonismo. Gesù sa che i primi sono nella tentazione di pentirsi. Di sentirsi ingenui nel vivere da giusti. Di convincersi che forse hanno ragione gli scaltri. Ma a loro Gesù dice che sono beati. Non li prende in giro naturalmente. Li incoraggia. Li invita a tenere duro. A non pentirsi di aver scelto la strada più difficile. Perché in fondo è anche la più umana, quella che corrisponde al sogno che Dio ha sull'uomo. Santi sono questi. Quelli che scommettono su una verifica ultima della dignità di un impegno. Questa scommessa richiede la fede, ovviamente. Significa stare nelle parole date da Gesù, non tanto sul colpo di teatro paranormale di un al di là verso cui proiettare ambigui sogni di rivincita, quanto piuttosto sullo stile mediante il quale un uomo conserva se stesso anche se perde tutto l'oro del mondo. Fino al punto di apprendere l'arte di provare fin d'ora la gioia profonda della vita evangelica. Lasciando agli stolti e agli increduli le loro illusioni.
La celebrazione cristiana del santo prescinde dunque dall'eroismo, dal paranormale, dall'effetto speciale. Mette al centro un atto di fede che si spinge lontano. Verso il mondo che verrà.
L'anno liturgico si conclude con la celebrazione di Cristo Re dell'universo. Come si sa, l'istituzione di questa festa ha delle origini piuttosto recenti. Venne difatti istituita da Pio XI nel 1925 come segno del primato cristiano nel difficile contesto culturale del primo Novecento. Questa connotazione polemica impressa all'istituzione della solennità di Cristo Re è stata riassorbita legando la sua celebrazione ai temi escatologici che i testi delle ultime domeniche dell'anno tornano a proporre. Cristo viene celebrato come il senso ultimo della storia. Il percorso liturgico, che in Avvento si apriva nel segno dell'attesa, torna alla fine a mettere la vita cristiana sotto il segno di una prospettiva di compimento che non appartiene alla storia, ma che è sospesa al tempo che sta oltre di essa. La lingua cristiana chiama quella dimensione del tempo che sta oltre la storia, parousìa, vale a dire ritorno, tempo della definitiva presenza del Signore Gesù Risorto destinata a ricevere l'intera creazione nel grembo della vita divina. La signoria di Cristo significherà la messa in salvo di tutto quanto è secondo il sogno di Dio per la sua creazione. Il criterio di questa salvaguardia ultima dell'essere, secondo la splendida parola di Matteo (25, 31-46), sarà il comandamento originario della cura, per il cui discernimento non saranno assolutamente decisive logiche di appartenenza religiosa. Non servirà essere stati molto religiosi. Bisognerà essere stati sufficientemente uomini.
Così concepita, la solennità di Cristo Re chiude l'anno liturgico come sigillo di un epilogo la cui parentesi di apertura possono essere considerate la festa di Tutti i santi e la commemorazione dei defunti. Il tema escatologico della vita cristiana trova difatti in queste due feste contigue un'applicazione ecclesiale diretta. Il loro senso è testimoniare nella forza del segno il reale prolungamento della comunione ecclesiale oltre i confini della composizione terrena della Chiesa. La Chiesa del Signore fin da ora è protesa verso il tempo che sta oltre la storia in virtù di coloro che hanno già oltrepassato la misteriosa linea di confine del tempo. La liturgia celebra precisamente la sorte dei molti che nella Chiesa sono già nello spazio del destino promesso. La forma di questa celebrazione è duplice. Da un lato la commemorazione dei defunti celebra il senso cristiano del morire congiungendolo all'affettuosa memoria dei defunti. Dall'altro l'attesa del mondo che deve venire si alimenta dell'onore dovuto a discepoli la cui eccellenza testimoniale li ha trasformati in modelli di speranza cristiana. Ci sono ragioni storiche che spiegano la perfetta contiguità della commemorazione dei defunti con la festa di Tutti i santi. Non è difficile da immaginare. Il senso cristiano della morte ha fin dall'inizio della storia ecclesiale raccomandato l'idea di una preghiera che considerasse i defunti in piena comunione con tutti i membri della Chiesa. È a partire da questa elementare e comune affezione per la Chiesa dei defunti che le figure più eccellenti per testimonianza, specialmente nel caso dei martiri, vengono legate a una forma di memoria particolarmente enfatizzata. L'onore dei santi nasce dal culto dei morti.

(©L'Osservatore Romano 1° novembre 2012)

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