martedì 30 ottobre 2012

Sinodo. Il dovere di annunciare Cristo: interviste con il card. Erdö e don Carrón


Sinodo. Il dovere di annunciare Cristo: interviste con il card. Erdö e don Carrón 

Testimoniare il Vangelo è un dovere per tutti i battezzati. Così il cardinale Péter Erdö, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali dell'Europa, commenta i lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione conclusi domenica scorsa in Vaticano. Ascoltiamolo tracciare un bilancio dell’assise al microfono di Paolo Ondarza: 

R. - Penso che questo sia stato un Sinodo molto ricco di contenuto. L’evangelizzazione non è soltanto la trasmissione di un contenuto intellettuale - questo sarebbe un’informazione - ma noi dobbiamo essere testimoni. Tutti i fedeli, tutti i singoli battezzati hanno questo dovere. Quindi, evangelizzare non è una cosa facoltativa, compito di una categoria di cristiani, ma è un dovere strettamente connesso con il battesimo stesso.

D. - Quali le frontiere della Chiesa in Europa, per fare nuova evangelizzazione?

R. - Prima di tutto, la nuova evangelizzazione non si riferisce soltanto a questi continenti di antica tradizione cristiana, però ha un significato speciale nel nostro mondo, dove la cultura cristiana, una volta, era quella dominante; oggi in seguito alla secolarizzazione, non è più così. All’interno dell’Europa ci sono delle differenze molto grandi, per esempio tra Paesi come l’Olanda e la Turchia, l’Italia e la Russia e così via. Tuttavia nelle diverse situazioni, troviamo elementi comuni ed uno di questi elementi è sicuramente la grande secolarizzazione. 

D. - Il messaggio del Vangelo, lei ha detto, è scritto, inciso nelle pietre delle città del Vecchio Continente, disegnato e dipinto nelle opere d’arte che le rendono belle e attraenti per i tanti turisti che visitano i Paesi europei…

R. - L’eredità artistica, presente negli edifici che vediamo nelle nostre città, porta ancora il messaggio del Vangelo. Quindi, se noi non annunciamo il Vangelo, cominciano a “gridare le pietre”. Noi siamo chiamati a spiegare “la voce delle pietre”. Dobbiamo conoscere questa nostra eredità e apprezzarla: tante persone lontane dalla Chiesa sanno apprezzare la cultura cristiana pur non avendo una vita di fede. Siamo chiamati ad evangelizzare anche attraverso questi mezzi.

D. - L’evangelizzazione in Europa esce rinnovata da questo Sinodo?

R. - Ne sono convinto, sì. È per questo che preghiamo.

Portare la gioia di essere cristiani in tutti gli ambienti della vita quotidiana. E’ ciò che da sempre anima la Fraternità di Comunione e Liberazione e che ancora oggi è la strada indicata dai suoi appartenenti per la nuova evangelizzazione. Tra i padri partecipanti al Sinodo sulla nuova evangelizzazione c’era don Julián Carrón, presidente di Cl. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. - Mi ha colpito, rileggendo il documento Porta Fidei, il fatto che il Papa comincia dicendo che oggi non si può dare per scontata la fede: non è un presupposto ovvio. Con questa impressione, e rileggendo poi l'Instrumentum laboris per la preparazione del Sinodo, mi ha colpito molto un passaggio in cui si metteva in evidenza la preoccupazione per il fatto che il cristianesimo non viene comunicato nei luoghi in cui si svolge la vita degli uomini: il posto di lavoro, il quartiere... Questa è veramente una sfida che dobbiamo affrontare, perché attualmente non richiamiamo alcun interesse. Questo ci dice della sfida che il cristianesimo diventi una realtà presente in noi, nel modo di affrontare le cose di tutti i giorni, perché altrimenti sarà difficile che gli uomini si possano interessare a quello che facciamo quando la domenica ci incontriamo per la Messa. 

D. - Quindi, essere nei luoghi in cui si trova la gente, intercettare la gente e anche la richiesta di assoluto che ha l’uomo. Nella vostra esperienza concreta, questo come si traduce?

R. - Si traduce nel tentativo costante di essere presenti, adesso come prima, nell’ambiente, nella scuola, nell’università e nei luoghi di lavoro, dove - con il nostro tentativo sempre “ironico” - cerchiamo di rendere presente il cristianesimo come proposta e testimonianza. Noi questo ce l’abbiamo a cuore, perché è la possibilità per noi stessi di poter verificare - nella vita concreta, nel lavoro, nella famiglia, nei rapporti - la verità di quello in cui crediamo. E in primo luogo, lo vogliamo per noi stessi, perché se questo sarà vero per noi, noi stessi potremo dimostrare agli altri come la fede sia in grado di rinnovare la vita quotidiana. 

D. - Deve partire da un’esperienza di conversione personale?

R. - Certo, è l’inizio di qualsiasi comunicazione della fede. E’ il primo passo. Convertendoci a Cristo, potremo poi toccare con mano che questa conversione è utile per la vita, per la nostra vita, per la vita degli uomini nostri fratelli e per la vita del mondo.

D. - Oggi, tutto questo ha una motivazione in più, se pensiamo anche alla crisi valoriale – anche a livello politico – che la nostra società sta attraversando. Come può tradursi questo impegno, quindi?

R. – Già nel modo in cui, per esempio, ciascuno vive la propria professionalità sul posto di lavoro, nel modo in cui è presente nel quartiere o nel piccolo paese dove abita. Se quello che prevale è il nuovo stile di vita, insieme con il desiderio di comunicarlo all’altro affinché diventi un bene per gli altri – sottolineando quindi anche l’aspetto del bene comune che può ritornare a tutti – ciò significa che esso potrà poi raggiungere anche le persone che si impegnano direttamente nel campo politico. 

D. - In apertura dell’Anno della Fede, qual è il suo auspicio?

R. - Il mio augurio, e il mio desiderio, per me e per tutti gli amici, per tutti i cristiani, è quello che ci dice il Papa: di sapere riscoprire il valore della fede, affinché possiamo uscire da questo Anno della Fede più convinti, più persuasi che mai del fatto che la fede è il dono più prezioso che ci è capitato nella vita.

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