lunedì 8 ottobre 2012

Il cardinale Wuerl al Sinodo: i cristiani superino la sindrome dell'imbarazzo di annunciare Gesù


Il cardinale Wuerl al Sinodo: i cristiani superino la sindrome dell'imbarazzo di annunciare Gesù 

Subito dopo l’intervento del Papa, a prendere la parola nell’Aula del Sinodo è stato il presidente delegato, il cardinale John Tong Hon, vescovo di Hong Kong, seguito dal segretario generale del Sinodo, mons. Nikola Eterović. Quindi, spazio alla “Relazione prima della discussione” presentata dal relatore generale dell’assise, il cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington. Ce ne parla Isabella Piro: 

Sono parole vibranti quelle che il vescovo di Hong Kong rivolge ai Padri sinodali: ricorda il timore del regime comunista vissuto da tante famiglie della diocesi, prima dell’annessione della città alla Cina, nel 1997. Ma proprio questa crisi, che in cinese significa anche opportunità, ha portato tanti cattolici non praticanti a riavvicinarsi alla Chiesa, per trovare un sostegno spirituale. Tanto che la scorsa Pasqua ha visto il battesimo di tremila adulti. Poi, il cardinale Tong Hon ricorda tre principi fondamentali dell’evangelizzazione: la comunione sia con Dio che con gli uomini, in particolare con i poveri; il servizio inteso come dono di sé e la dottrina, ovvero quell’incontro personale con Cristo che ci porta ad essere suoi testimoni: 

“We must be zealous witnesses of our faith”. 

“Dobbiamo essere - conclude il vescovo di Hong Kong- testimoni zelanti della nostra fede”. 

Dal suo canto, mons. Eterović ripercorre a grandi linee tutto il lavoro preparatorio di questo 13.mo Sinodo generale, il quinto convocato da Benedetto XVI in otto anni di Pontificato, e rivela che il tema della nuova evangelizzazione è stato scelto dal Papa nell’ambito di una terna suggerita dai presuli e che comprendeva anche la parrocchia come comunità e le sfide antropologiche contemporanee. Importate anche lo spirito collegiale dei vescovi alle fasi di preparazione dell’assise, tanto che oltre il 90% delle Chiese particolari ha collaborato, con i propri suggerimenti, alla stesura del documento di lavoro. 

Poi, la parola passa al cardinale Wuerl: la sua “Relazione prima della discussione”, pronunciata in latino, è, insieme, appassionata e lucida. Partendo dal principio che ciò che si proclama “non è un’informazione su Dio, ma piuttosto Dio stesso” fattosi uomo, il porporato non esita ad affrontare il difficile contesto della nuova evangelizzazione nella società contemporanea, in cui esiste “la separazione intellettuale ed ideologica di Cristo dalla sua Chiesa”, la “barriera dell’individualismo” che fa decadere la responsabilità dell’uomo nei confronti dell’altro; il razionalismo che trasforma la religione in una “questione personale”; la “drastica riduzione della pratica della fede” tra i battezzati. 

Questo volto della società che cambia “in modo drammatico”, spiega il cardinale Wuerl,affonda le sue radici negli anni ’70 e ’80, decenni di “catechesi veramente scarsa”, di discontinuità, di “aberrazioni nella pratica della liturgia”. 

“È stato come se uno tsunami di influenza secolare – dice il porporato – portasse via con sé indicatori sociali come il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione fra bene e male”. E non solo: “i peccati di pochi” hanno alimentato la sfiducia nelle strutture della Chiesa. 

In questa cultura segnata da “secolarismo, materialismo e individualismo”, tuttavia, non mancano segnali positivi lanciati dai giovani, dai bambini e dai loro genitori. In una parola: dalla famiglia, “modello-luogo della nuova evangelizzazione”, “primo elemento costitutivo della comunità”, così spesso sottovalutata e ridicolizzata dalla società contemporanea. E se i missionari del passato hanno coperto “immense distanze geografiche” per annunciare il Vangelo, i missionari del presente devono superare “distanze ideologiche altrettanto immense”, senza neppure uscire dal quartiere. 

“La nuova evangelizzazione non è un programma – sottolinea il cardinale Wuerl – Si tratta di un nuovo modo di pensare, di vedere e di agire. È come una lente attraverso cui vediamo le opportunità di proclamare di nuovo il Vangelo”. 

Di qui, l’invito ad avere, nella verità del messaggio cristiano, “una nuova fiducia”, spesso erosa da un sistema di valori laici impostosi come superiore allo stile di vita proposto da Gesù. In sostanza, spiega l’arcivescovo di Washington, i cristiani devono “superare la sindrome dell’imbarazzo” di annunciare “il tesoro semplice, genuino e tangibile dell’amicizia con Gesù”. Tale annuncio, però - esorta il relatore generale – sia testimoniato nella vita, perché evangelizzare significa offrire l’esperienza dell’amore di Gesù e non “una tesi filosofica di comportamento”.

Tre, quindi, i fondamenti dell’evangelizzazione: quello antropologico, che dice che ogni uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio ed ha in sé il desiderio naturale di comunione con il trascendente; quello cristologico, per il quale il Cristo si è rivelato e non è una creazione sociologica o un’aberrazione teologica; ed il fondamento ecclesiologico, che porta la salvezza di Cristo “dentro e attraverso la Chiesa”. 

Il cardinale Wuerl allarga, inoltre, lo sguardo ai movimenti e alle comunità ecclesiali, “segno della nuova evangelizzazione”. Ne cita tre per tutti - Comunione e liberazione, Opus Dei ed il Cammino Neocatecumenale – ed esorta tutti ad “integrare più pienamente le loro energie e attività nella vita di tutta la Chiesa”. Inoltre, continua il porporato, è vero che Gesù non ha promosso “un particolare programma politico”, però ha stabilito principi di base fondamentali per la libertà e la dignità umana e per l’ordine morale naturale, che si devono riflettere anche nella politica. 

Infine, quattro sono le caratteristiche dell’evangelizzatore di oggi, conclude l’arcivescovo di Washington: avere coraggio, quel “pacifico coraggio” di San Massimiliano Kolbe o di Madre Teresa di Calcutta; essere in comunione con la Chiesa e solidale con i suoi pastori; annunciare con gioia il messaggio di Dio; avvertire l’urgenza di una missione “troppo importante” per la quale “non c’è tempo da perdere”.

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