domenica 7 ottobre 2012

Giovanni d'Ávila. Una voce per riformare la Chiesa (Antonio María Rouco Varela)

Giovanni d'Ávila

Una voce per riformare la Chiesa


di Antonio María Rouco Varela*


«San Giovanni d'Ávila, un dottore per la nuova evangelizzazione», così abbiamo intitolato l'Istruzione della xcix assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola, del 26 aprile 2012, e la reiterata frase del santo maestro, «Sappiano tutti che Dio nostro è amore», apriva il messaggio che, poco prima, avevamo rivolto a tutto il popolo di Dio. Evangelizzazione e centralità dell'amore del Padre manifestato in Cristo Gesù: due chiavi essenziali per avvicinarci alla persona e all'insegnamento di questo «predicatore evangelico», così come lo definiva il suo discepolo principale e primo biografo, fra Luis de Granada.

Questo dottore, alle porte dell'Anno della fede e all'inizio dell'assemblea del Sinodo dei vescovi su «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede», pone dinanzi ai nostri occhi la figura colta e umile, importante e discreta, del santo maestro Giovanni d'Ávila (1499 o 1500-1569), il quale dedicò la propria vita alla preghiera e allo studio, a predicare a piccoli e grandi, chierici e laici, che tutti siamo chiamati alla santità, a rendere la Parola di Dio comprensibile ai sapienti e agli ignoranti, e a lasciarci una serie di trattati di spiritualità, sermoni, conversazioni e lettere in quel delizioso castigliano «d'oro» che armonizza il parlare bene con la solidità, la grazia e la densità del suo contenuto.
Le prestigiose università di Salamanca e di Alcalá lasciarono un'impronta profonda nel giovane studente Giovanni d'Ávila. Dopo aver tentato per quattro corsi di studiare giurisprudenza a Salamanca, e dopo una grande esperienza di conversione, s'iscrisse alla facoltà di Arti e Teologia dell'università Complutense, fondata poco prima dal cardinale Cisneros, dove l'armoniosa sintesi tra la più solida tradizione teologica ecclesiale e le nuove correnti dell'umanesimo rinascimentale segnò per sempre la sua definita personalità.
Dalla pubblicazione della famosa Bibbia Poliglotta Complutense, e da quando era studente ad Alcalá, la Parola di Dio non abbandonò mai la sua mente e il suo cuore ed egli riempì i suoi scritti e la sua predicazione d'innumerevoli riferimenti all'Antico e al Nuovo Testamento, in modo particolare al Vangelo e agli scritti paolini. «Siate amici della Parola di Dio leggendola, parlandola, operandola» (Lettera, 86) era una delle sue raccomandazioni preferite. «La Sacra Scrittura -- dice -- è casa di Dio, è seggio di Dio, di modo che la Bibbia è trasferimento del cuore di Dio» (Giovanni i, Lec. 6º).
Suggerì anche l'idea di creare una sorta d'Istituto biblico, «poiché è essa (la Bibbia) che consente a uno di chiamarsi teologo» (Memoriale, i, 52). Questa era la sua proposta: «Sarebbe cosa utilissima alla Chiesa disporre che nelle università ci siano collegi deputati e dotati affinché la suddetta Sacra Scrittura abbia allievi e discepoli che con quelle disposizioni la possano studiare; e con esercizi di lettura e di predicazione tra gli stessi allievi e con la gente di fuori, divengano abili per dare frutto alla Chiesa di Dio con l'esercizio e il ministero della sua parola. In tal modo ci sarebbero lettori a sufficienza per leggere la Sacra Scrittura nelle università, in quanto vediamo per esperienza che ce ne sono pochi. Poiché tale lezione richiede modi differenti e uno spirito diverso, e perizia come quella chiesta dalla teologia scolastica, nella quale si esercita solo la maggior parte di quelli che leggono la Sacra Scrittura» (Memoriale ii, numero 67).
Secondo alcune dichiarazioni dei suoi contemporanei, Ignazio di Loyola giunse a chiamarlo «arca del Testamento, essendo l'archivio della Sacra Scrittura, che se si perdesse, solo lui restituirebbe alla Chiesa».
Dal 1538 figura con il titolo di maestro e Papa Paolo VI, nell'omelia della sua canonizzazione, il 31 maggio 1970, esaltò la sua persona e la sua dottrina eccelsa, lo propose come modello di predicazione e di guida delle anime, lo definì paladino della riforma ecclesiastica e sottolineò la sua costante influenza storica, ancora attuale. Al rinnovamento ecclesiale del concilio Vaticano II, all'inizio del terzo millennio del cristianesimo, contribuirà in grande misura la voce di questo maestro, che si potrebbe giustamente chiamare dottore dell'amore di Dio o della nuova evangelizzazione.
Giovanni d'Ávila è un classico della spiritualità cristiana accanto ad altri grandi santi e mistici del XVI secolo, conosciuto e apprezzato universalmente soprattutto in ambito teologico e accademico. Non elaborò mai una sintesi sistematica del suo insegnamento teologico, ma ci ha lasciato tesori così preziosi come il Trattato dell'Amore di Dio, il Trattato sul sacerdozio, il Catechismo o Dottrina cristiana, i Commenti alla Lettera ai Galati o alla Prima Lettera di Giovanni e, soprattutto, il noto Audi, filia, frutto della sua esperienza come guida spirituale di una giovane. Il cardinale Astorga, arcivescovo di Toledo, disse: «Questo libro ha convertito più anime delle lettere che contiene», e i cattolici perseguitati in Inghilterra trassero grande sollievo dalla sua lettura.
In quanto vero umanista e buon conoscitore della realtà, la sua era una teologia vicina alla vita, che rispondeva alle questioni poste in quel momento e lo faceva in modo didattico e comprensibile.
L'ingegno e la buona preparazione accademica di Giovanni d'Ávila lo portarono persino a inventare macchine per sollevare l'acqua; i proventi economici che derivavano dai brevetti li utilizzava nella fondazione di collegi per l'educazione e l'istruzione di bambini e giovani.
Fu anche promotore d'interessanti iniziative che, in qualche modo, fecero di lui un pioniere del diritto internazionale, in quanto propose la creazione di un tribunale di arbitrato per evitare conflitti armati: «Che nessun re, signore, o signoria che non riconosce alcun superiore possa dichiarare guerra a un altro senza che prima eruditi delle università, indicati dal concilio, esaminino la giustizia delle cause. E se colui che non avesse giustizia non volesse soddisfare colui che l'ha, si ricorra a rimedi opportuni contro di lui; rimedi tali che egli resti ben scottato dal castigo e altri siano avvisati» (Memoriale i al Concilio di Trento, Riforma dello Stato Ecclesiastico, numero 63).
Sono proposte di ampio respiro, unite a uno sguardo contemplativo agli eventi quotidiani e alla natura che a sua volta ci parla del Creatore: «Dite, non avete mai visto sorgere il sole la mattina? È una cosa che vale la pena vedere. Sembra un miracolo di Dio vedere come viene l'alba, come cantano tutti gli uccellini, alcuni bene, altri male; è un miracolo vederla; sembra che tutte le cose chiamino Dio, ognuna a suo modo, che tutte benedicano Dio» (Sermone, 62).
Scrive ancora: «Guarda tutti i benefici che Dio ti ha fatto, perché tutti sono pegni e testimonianze di amore. Tutto quanto c'è in cielo e in terra, e tutte le ossa e i sensi che sono nel tuo corpo» (Trattato dell'Amore di Dio, i, 952). «Guardi l'uomo se stesso, guardi il cielo e guardi la terra, e veda che tutto è legna di beneficio per accendere nell'essere umano il fuoco dell'amore divino» (Sermone, 70).
Attento a cogliere quello che lo Spirito ispirava alla Chiesa, in un'epoca così complessa e agitata da cambiamenti culturali, da varie correnti umanistiche, dalla ricerca di nuovi cammini di spiritualità, chiarì criteri e concetti, incentrando il suo insegnamento su temi tanto scottanti come la giustificazione e la grazia, che spiegò alla luce di quello che chiamava il «beneficio di Cristo», ossia l'espressione dell'amore di Dio in Cristo Gesù, Verbo fatto uomo e nostro Redentore.
La sua teologia è orante e sapienziale: lo esigevano la santità della scienza teologica e il bene e l'edificazione della Chiesa. Il suo insegnamento è una teologia pregata e predicata, applicata alla realtà e ai bisogni degli ascoltatori, e accompagnata sempre dalla Parola di Dio e dei santi Padri, atta a edificare le persone e a spingere i cuori alla santità.
La predicazione del Maestro d'Ávila, incentrata sempre sull'amore di Dio, comportava per tutti un pressante invito alla santità. Perché tutti, clerici, religiosi e laici, siamo chiamati alla santità. Era pienamente convinto che la vocazione cristiana, in qualsiasi condizione di vita, è vocazione alla santità e all'apostolato. Così, nel breve trattato Meditazione del beneficio che ci ha fatto il Signore nel sacramento dell'Eucaristia, tema ricorrente in gran parte della sua opera, esprime come la grazia divina rende «l'uomo simile a Dio nella purezza della vita», e come la chiamata alla sanità si deve al fatto che l'uomo è «partecipe di Dio stesso».
I suoi biografi parlano diffusamente della grande esigenza di vita cristiana che implicava per ogni persona l'ascoltare le sue parole, del tutto coerenti con la sua testimonianza di vita. Da parte sua, favorì tutte le vocazioni e, com'è noto, furono molto numerose le conversioni e le adesioni alla vita consacrata e clericale che i suoi scritti e i suoi sermoni suscitarono. Ricordiamo Giovanni di Dio, che cambiò radicalmente la sua vita dopo aver ascoltato a Granada la predicazione di padre d'Ávila al punto da diventare il fondatore dell'ordine ospedaliero, o a san Francesco Borgia, che aiutò nel cammino della sua conversione e nel suo ingresso nella compagnia di Gesù, della quale fu il terzo preposito generale.
Giovanni d'Ávila è quindi maestro della vita santa e, in concreto, della santità sacerdotale: «Oh ecclesiastici, se vi guardaste nel fuoco del vostro pastore principale, Cristo; in quelli che vi hanno preceduti, apostoli e discepoli, vescovi martiri e pontefici santi!» (Conversazione, 7). L'identificazione e la configurazione con Gesù Cristo, e la pratica della preghiera e delle virtù cristiane, come per i grandi santi, sono alla base della santità.
Riferendosi alla predicazione come responsabilità propria dei sacerdoti, alla quale dedicò gran parte della sua vita, accanto alla preghiera e allo studio, il santo maestro diceva: «Grande dignità è avere l'ufficio nel quale si esercitò Dio stesso, essere vicario di un tale Predicatore, che è giusto imitare nella vita come nella parola» (Lettera, 4).
«L'altezza dell'ufficio sacerdotale esige altezza di santità» affermava spesso, perché «come può un sacerdote offendere Dio tenendo Dio nelle sue mani?» (Sermone, 64). «Oh, come deve essere grande la nostra santità e purezza per toccare Gesù Cristo, che vuole essere accolto con braccia e cuore puro, e per questo si mise nelle braccia della Vergine!» (Ibidem, 4).
San Giovanni d'Ávila è quindi un noto maestro di spiritualità sacerdotale come dimostrano i suoi Sermoni e le Conversazioni e il sopracitato Trattato sul Sacerdozio. Il suo insegnamento, che ha come riferimento Cristo, il Buon Pastore, contiene tutti gli elementi fondamentali del sacerdozio cristiano, con formulazioni basate sulla Sacra Scrittura, sui Padri della Chiesa, sul magistero, sui santi e sui più stimati teologi, e in esso si percepiscono in modo particolare contenuti evangelici e paolini e una chiara radice agostiniana e tomista.
Concentrò la sua attenzione anche su una migliore formazione per i bambini e i giovani, in particolare per gli aspiranti al sacerdozio. Per loro, e per la formazione permanente dei clerici, fondò una quindicina di collegi minori e maggiori, e una prestigiosa università, quella di Baeza (Jaén), che è stato un importante punto di riferimento per secoli.
L'arcivescovo di Granada, don Pedro Guerrero, voleva portare il maestro d'Ávila come consigliere teologo alla seconda sessione del concilio di Trento. Avanti negli anni e malato, il suo stato fisico non gli permise di partecipare, ma scrisse per l'occasione due famosi Memoriali, il Memoriale i, Riforma dello Stato Ecclesiastico (1551) e il Memoriale ii, Cause e rimedi delle eresie (1561). In essi disse in modo molto preciso e chiaro che la santità del clero è indispensabile per riformare la Chiesa. Senza di essa, una vera riforma diverrebbe impossibile. Seguendo la dottrina paolina della legge e della grazia, cercava di far rinascere una vita vigorosa dalle stesse viscere soprannaturali della Chiesa, e perciò era necessario creare una legione di uomini di spirito. Disse: «Consta già che ciò che questo santo concilio vuole è il bene e la riforma della Chiesa. A tal fine, consta anche che il rimedio è una nuova formazione dei suoi ministri» (Memoriale, i, 9).
Le sue proposte, riferite soprattutto alla creazione di seminari per la formazione di quanti si preparavano al sacerdozio, raggiunsero tutta la Chiesa, come si può percepire nel decreto tridentino De seminariis clericorum (1563) e in altri documenti sulla riforma e sui sacramenti.
Punto importante della spiritualità del maestro d'Ávila è il suo marcato marianesimo, che relaziona con il sacerdozio. La dimensione mariana è una conseguenza della dimensione cristologica, eucaristica ed ecclesiale. Maria è associata a Cristo, come lo è il sacerdote. L'azione sacerdotale è simile a quella di Maria per «l'essere sacramentale che il sacerdote dà a Dio fatto uomo» e non una sola volta, ma frequentemente (Trattato sul sacerdozio, numero 2). «Guardiamoci, Padri -- scrive -- dalla testa ai piedi, anima e corpo, e ci vedremo fatti a somiglianza della Santissima Vergine Maria, che con le sue parole portò Dio nel proprio grembo. E il sacerdote lo porta con le parole della consacrazione» (Conversazione, 1º, 111). Sono molto noti i suoi sermoni nelle principali feste mariane, come quelli dell'Annunciazione, della Visitazione o dell'Assunzione di Maria in cielo.
Giovanni d'Ávila morì povero, come aveva sempre vissuto. «Coloro che non sono conosciuti come poveri, si congedino dalla novella che porta Gesù Cristo povero» (Sermone, 3).
Il suo grande servizio alla Chiesa non si concluse con la sua morte. I suoi scritti più importanti apparvero presto in diverse edizioni e ottennero una notevole diffusione. I suoi sermoni furono molto apprezzati e circolarono in copie manoscritte, finché nel 1596 iniziarono a essere pubblicati; sono numerose le loro edizioni e traduzioni. Lo stesso vale per il suo ricco epistolario, che fu molto presto tradotto in diverse lingue.
L'influenza del maestro d'Ávila è stata pertanto costante attraverso i suoi scritti, pubblicati diverse volte nel corso dei secoli, e che continuano a essere pubblicati e letti, a ritmo crescente, ancora oggi. Associazioni clericali e laicali, sacerdoti e lo stesso popolo di Dio continuano ad assimilare e a diffondere la sua dottrina. I suoi insegnamenti hanno un'autentica e profonda presenza ecclesiale, sufficientemente universale, e continuano a fecondare, in maniera discreta ma efficace, la vita della Chiesa.
Giovanni d'Ávila ha influenzato in modo diretto molti santi, maestri di spiritualità e fondatori che si sono ispirati a lui o si sono abbeverati alla sua dottrina, a partire dagli uomini del suo tempo, e non solo spagnoli, ma anche europei e soprattutto latinoamericani. Non minore è stata però l'influenza indiretta che ha esercitato e che continua a esercitare attraverso la dottrina e la spiritualità diffusa da quei fondatori, che sono giunti fino in America, in Asia, e persino nel cuore dell'Africa.

* Cardinale arcivescovo di Madrid

Presidente della Conferenza episcopale spagnola

(©L'Osservatore Romano 7 ottobre 2012)

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