domenica 16 settembre 2012

Piantato un albero di cedro nel giardino della residenza del Presidente. Simbolo di forza e di solidità nelle tempeste (Ponzi)

Piantato un albero di cedro nel giardino della residenza del Presidente

Simbolo di forza e di solidità nelle tempeste

dal nostro inviato a Beirut Mario Ponzi

E alla fine Benedetto XVI ha piantato un cedro: nella terra dei simboli è quasi doveroso iniziare dalla conclusione il racconto della mattina di sabato 15 settembre, che il Papa ha trascorso quasi per intero nel Palazzo presidenziale di Baabda.
Un momento tanto atteso, quello svoltosi nel giardino della residenza, quanto incisivo per il futuro di un Paese che, pur avendo visto sbocciare la «primavera», ha davanti a sé un cammino ancora tortuoso da percorrere. Il dialogo, nel rispetto reciproco, resta per il Pontefice l'unica strada percorribile: ci vuole però coraggio, il coraggio della fede, qualunque essa sia.
Ecco perché il cedro: nel linguaggio biblico questo albero è simbolo di forza, di vitalità e di fecondità, ma anche della capacità di resistere nella tempesta. San Paolo ai suoi tempi diceva che «se la radice è santa, santi sono anche i suoi rami». Scegliendo il cedro come emblema nazionale, il popolo libanese ha voluto rappresentare la solidità e la robustezza di quelle radici morali e spirituali che ne caratterizzano l'anima, ciò che gli consente di resistere alle tempeste di un mondo sconvolto. Perciò è tutto racchiuso in questo gesto il senso del discorso pronunciato subito dopo da Benedetto XVI nel grande salone del Palazzo presidenziale, davanti alle massime autorità politiche e civili del Paese, ai diplomatici dei Paesi mediorientali e non, agli esponenti delle diverse comunità religiose presenti nella regione. Un discorso articolato, complesso, attraverso cui il Papa pur senza citare persone, nazioni o avvenimenti specifici, ha passato in rassegna tutte le conseguenze di quel male che è presente nel mondo non come «forza anonima che agisce in maniera impersonale», ma si mostra in tante forme diverse e «passa attraverso la libertà umana, attraverso l'uso della nostra libertà».
È stata dedicata dunque agli incontri ufficiali la mattinata del secondo giorno di Benedetto XVI in Libano. È giunto intorno alle 10 a Baabda -- località a una decina di chilometri dalla nunziatura -- dove si trova la residenza del presidente della Repubblica. È una cittadina adagiata su una collina, distante circa trenta chilometri da Beirut. Solitamente è abitata da poche persone, circa duemila e cinquecento; sulle sue strade però sabato mattina si è riversata una folla superiore. Difficile leggere i tanti cartelloni issati dai gruppi allineati lungo il percorso. Tra l'altro, e questa è un'altra caratteristica dell'estetica mediorientale: si tratta sempre di cartelloni di una certa eleganza grafica, molto colorati e alcuni arricchiti da fotografie.
Benedetto XVI è stato accolto dal presidente Sleiman, che aveva accanto a sé la consorte, signora Wafaa. La prima parte della visita è stata dedicata ad alcuni incontri privati, con il presidente della Repubblica prima, con il presidente del Consiglio dei ministri Najib Mikati subito dopo, e infine con il presidente del Parlamento Nabih Berri. A ognuno dei suoi ospiti il Papa ha lasciato tra l'altro in dono una copia dell'esortazione post-sinodale.
È stata poi la volta dell'atteso incontro con i capi delle comunità religiose musulmane sunnita, sciita, drusa e alawita, svoltosi nel salone degli Ambasciatori del Palazzo presidenziale. Si è trattato di un momento informale, segnato da grande cordialità, durato circa venti minuti. Hanno partecipato anche il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il patriarca maronita Béchara Boutros Raï, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e l'arcivescovo Gabriele Caccia, nunzio apostolico.
Nell'economia della visita si è trattato di un momento importante, perché il Libano è l'unico dei Paesi dall'area dove l'intero sistema civile è costruito sulla convivenza in condizioni di parità, così come per esempio si manifesta nella composizione del Parlamento, dove risiedono 64 cristiani e 64 musulmani; o ancora nella divisione dei poteri: il presidente è cristiano maronita, il primo ministro è musulmano sunnita e il presidente del Parlamento è musulmano sciita. Generalmente anche in tutti gli uffici statali si cerca un analogo equilibrio. È il frutto del modello libanese gelosamente custodito nell'intento di non mettere a rischio l'intero tessuto sociale, fondato sulla convivenza pacifica. Anche se la realtà con la quale i libanesi sono chiamati oggi a confrontarsi è segnata da inquietanti interrogativi. La causa non è solo conseguenza diretta dei venti di guerra che soffiano da ogni spigolo delle porte di casa. A influire pesantemente sono anche i morsi di una crisi economica e finanziaria che diventa sempre più evidente. È una crisi che colpisce in modo particolare le comunità cristiane, costrette in tanti casi a vendere le loro stesse abitazioni pur di far fronte alle necessità. E questa è una delle cause del costante infoltimento della già lunga schiera di esuli cristiani dal Libano. Statistiche recenti parlano di un popolo di emigrati composto da diciotto milioni di persone. Anche il Papa ha fatto cenno a questa situazione e ha chiesto ai pastori del Paese di non abbandonare questa gente, di cercare di aiutarla e di convincere chi guarda a questa soluzione come unica prospettiva di sopravvivenza, ad avere più fiducia nei loro mezzi e nel futuro del Paese. Anche qui dunque ci sarà bisogno della forza delle radici di quell'albero piantato nel terreno fertile della fede per resistere a cambiamenti epocali.
Successivamente il Pontefice è stato accompagnato dal presidente in giardino per la cerimonia in cui è stato piantato l'albero; quindi insieme hanno raggiunto il grande salone dove alla presenza di tutti gli ospiti riuniti è avvenuto lo scambio dei discorsi.
La mattinata si è poi conclusa alla sede del patriarcato armeno cattolico di Bzommar, dove, ricevuto dal patriarca di Cilicia degli armeni Nerses Bedros XIX Taromuni, Benedetto XVI ha pranzato con i patriarchi e i vescovi del Paese. Hanno partecipato all'incontro anche i membri del Consiglio speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi e le personalità del seguito.
L'attenzione è ora già fissa su Bkerké, dinanzi al patriarcato maronita, dove da oltre ventiquattr'ore sono ad attendere il Papa migliaia di giovani per la veglia di preghiera in programma stasera. Vengono da tanti Paesi mediorientali, alcuni dei quali ancora oggi alle prese con una violenza che essi rifiutano. Ne parleranno con il Pontefice e con lui cercheranno di riaccendere la speranza che sembrano aver perduto sotto i colpi dei cannoni.

(©L'Osservatore Romano 16 settembre 2012)

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