venerdì 14 settembre 2012

Il Papa spiega il significato della sua visita in Libano (O.R.)

Il Papa spiega il significato della sua visita in Libano

Sotto il segno della fraternità e del dialogo

All'arrivo a Beirut l'indicazione del modello libanese quale esempio di convivenza per il Medio Oriente e il mondo

Mai pensato di rinunciare a questo viaggio. Benedetto XVI lo ha ripetuto rispondendo senza esitazioni alle domande dei giornalisti durante il consueto incontro a bordo dell'aereo che, nella mattinata del 14 settembre, lo ha condotto a Beirut. Il Papa non ha mai esitato. Semmai l'aggravarsi delle tensioni e il complicarsi della situazione ha reso ancor più vivo il suo desiderio di portare un segno di fraternità e un invito al dialogo a tutte le popolazioni mediorientali. La loro condizione di sofferenza -- ha affermato il Pontefice -- non avrà fine sino a quando non verrà impedito il passaggio delle armi destinate ai belligeranti, come accade nel drammatico contesto della crisi siriana.
Messo un punto fermo su questo argomento, il Pontefice ha affrontato questioni divenute di scottante attualità soprattutto in questi ultimi tempi. E ricordando due tragici avvenimenti che hanno segnato il recente passato della regione e del mondo -- la strage avvenuta nel 1982 nei campi dei profughi palestinesi di Sabra e Chatila, proprio in Libano, e l'attentato alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001 -- ha parlato dell'inquietudine dinanzi alla crescita dei fondamentalismi e alle aggressioni di cui sono vittime numerosi cristiani. Ha poi accennato al rischio che nei Paesi dove è sbocciata la cosiddetta «primavera araba» proprio i cristiani, in quanto minoranza, possano soccombere, con un esplicito riferimento alla situazione della Siria. Infine ha sottolineato il valore dell'esortazione post-sinodale che consegnerà domenica prossima e il ruolo che le Chiese d'Europa e delle Americhe possono svolgere per sostenere i loro fratelli nel Medio Oriente.
Le risposte del Papa in un certo senso hanno anticipato i temi che saranno al centro della visita in Libano. Dove -- ha ricordato -- convivono pacificamente tre religioni monoteiste che hanno fatto del dialogo uno stile di vita.
Dal Pontefice è venuta anzitutto un rifiuto totale e netto della violenza: una pratica -- ha precisato -- che è sempre da respingere, da qualsiasi parte essa provenga. Uno dei messaggi chiave che il Papa intende portare con sé in Libano, ma idealmente in tutto il Medio Oriente, è proprio il rifiuto della violenza e la riscoperta del dialogo. Un dialogo che si rivela particolarmente difficile con il fondamentalismo, che rappresenta -- ha affermato -- la negazione della religione. Alla Chiesa spetta dunque il compito di invitare alla purificazione delle coscienze e dei cuori, per favorire la capacità di vedere nell'altro l'immagine reale di Dio.
Di contro Benedetto XVI ha giudicato in modo positivo la «primavera araba», poiché, almeno nel suo intento originario, cerca di promuovere la democrazia e la cooperazione. È un grido di libertà -- ha detto -- che viene da una gioventù culturalmente elevata alla ricerca della solidarietà e della coesistenza.
Tuttavia il Pontefice non si è nascosto il pericolo che in questo processo si perda di vista la libertà dell'altro. Anche se i cristiani sono sempre pronti a collaborare nel rispetto di tutti, resta il fatto che il concetto di libertà -- ha spiegato -- deve sempre essere visto nella dimensione della tolleranza. Il Papa resta comunque convinto che la «primavera araba» esprima il desiderio di vivere insieme. E in questo senso giudica positivamente anche i movimenti che in ogni Paese mirano a ottenere una piena partecipazione alla vita sociale e politica.
Realizzare una società pacificata e ordinata secondo il criterio di coesistenza frenerebbe anche l'emorragia continua dei cristiani dal Medio Oriente. Per quanto -- ha precisato il Pontefice -- a fuggire non siano soltanto i cristiani, sono essi a rischiare di scomparire da certe realtà. Cosa può fare allora la Chiesa? Intanto cercare di far capire che la violenza e la guerra sono la prima causa di fuga. È necessario diffondere il messaggio di pace nel mondo così come è indispensabile fermare il traffico di armi sistematicamente importate dove c'è la guerra. Occorre importare solidarietà anziché armi. Prioritario è cercare di convincere i politici a impegnarsi contro la violenza e per la pace.


(©L'Osservatore Romano 15 settembre 2012) 

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