sabato 14 luglio 2012

L'africano Tertulliano creò dal nulla il vocabolario teologico cristiano nella lingua di Cicerone (Rizzi)


L'africano Tertulliano creò dal nulla il vocabolario teologico cristiano nella lingua di Cicerone


Un genio di periferia


Il «Corriere della Sera» ha riproposto nella sua collana «I classici del pensiero libero. Greci e latini» l'Apologia del cristianesimo di Tertulliano edita nel 1996 dalla Biblioteca Universale Rizzoli. Pubblichiamo la prefazione scritta appositamente per questa iniziativa editoriale.


di Marco Rizzi


Tertulliano è celebre per una frase che non ha mai scritto: credo quia absurdum («credo proprio perché è contro la ragione»). Così, è spesso rappresentato come esponente di un cristianesimo antirazionale e antifilosofico, aggressivo e intransigente. 
Nei suoi scritti non mancano certo passi che parrebbero confermare una simile impressione; ma sono il più delle volte frutto di un gusto per il paradosso retorico e le affermazioni fulminanti, veri e propri slogan che costellano le sue opere: semen est sanguis christianorum («il sangue è seme di cristiani») oppure hesterni sumus et omnia vestra implevimus («siamo nati ieri e abbiamo già riempito tutto il vostro mondo»), per citarne due tra i più incisivi.
Preceduta da incerte traduzioni bibliche, con Tertulliano la letteratura cristiana in lingua latina nasce già adulta, pienamente consapevole dei suoi contenuti e dei suoi mezzi espressivi; e nasce in un contesto periferico, l'Africa degli ultimi anni del ii secolo e dei primi decenni del III, uno dei pochi territori dell'impero dove il greco non veniva correntemente parlato e dove quindi il cristianesimo non si poteva rivolgere, almeno in prima istanza, a quanti, provenienti dall'oriente, conoscevano e utilizzavano quella che era divenuta ormai una sorta di lingua franca.
Il grande merito di Tertulliano è quello di aver forgiato praticamente dal nulla il vocabolario teologico del cristianesimo occidentale; di volta in volta egli utilizza calchi dal greco, quando il corrispettivo termine latino non rende ragione del peculiare significato assunto nel contesto cristiano, come nel caso di martyr («martire») rispetto a testis («testimone», «teste»); oppure realizza audaci accostamenti e risemantizzazioni: per rendere il greco mystèrion («mistero»), un vocabolo che già Paolo aveva ripreso dal lessico religioso ellenistico per indicare il contenuto dell'annuncio cristiano, Tertulliano non esita a ricorrere al vocabolario giuridico di Roma, e sceglie sacramentum, che significava «patto», «giuramento», «obbligazione reciproca», in qualche modo collocando il rapporto tra il fedele e Dio nell'ambito del diritto e avviando così in una direzione ben precisa il cristianesimo occidentale.
Al di là dell'accurata formazione retorica e giuridica che emerge dai suoi scritti, non sappiamo molto della vita di Tertulliano. Secondo Girolamo, era nato a Cartagine da un centurione romano; conosceva il greco e la filosofia, aveva preso moglie dopo una giovinezza alquanto vivace, anche se Tertulliano stesso probabilmente esagera quest'aspetto per meglio porre in risalto la sua conversione avvenuta in età adulta. Agli ultimi anni del ii secolo risalgono i suoi primi scritti, tra cui proprio l'Apologeticum, databile intorno al 197; da lì in poi e sino all'incirca al 220 si susseguono numerose opere di taglio apologetico e polemico, rivolte contro pagani, ebrei o altri cristiani da lui considerati eretici; scritti dottrinali e disciplinari, che intendono illustrare aspetti di contenuto della fede cristiana e le sue implicazioni etiche e comportamentali, segnate da un rigorismo (e da una notevole misoginia!) che sembra aumentare con il trascorrere del tempo, tanto da far ritenere che negli anni dieci del III secolo Tertulliano abbia aderito al montanismo, una dottrina escatologica radicale che predicava l'imminente ritorno di Cristo e la conseguente necessità di una dura penitenza.
Girolamo riprende questa opinione, anzi afferma che, deluso pure dal montanismo, Tertulliano avrebbe fondato una setta tutta sua; tuttavia, Cipriano, vescovo e martire di sicura ortodossia, non esitava intorno alla metà del III secolo a qualificarlo dell'appellativo di «maestro» e a trarre dai suoi scritti ispirazione e tematiche, specie apologetiche.
E se il cosiddetto Decretum Gelasianum del 494 condanna gli scritti di Tertulliano come eterodossi, non di meno essi continuarono a essere trascritti e studiati, sino all'editio princeps del 1521 a opera dell'umanista Beato Renano e al clamoroso giudizio di Erasmo da Rotterdam, che affermava negli stessi anni: «Quello che Origene fu per i greci, questo lo fu Tertulliano per gli africani. Era uomo versato in ogni genere di disciplina, di ingegno perspicace e di giudizio sicuro». La maggior parte della storiografia moderna non avrebbe difficoltà a sottoscrivere un simile giudizio.
L'Apologeticum può essere considerato il capolavoro di Tertulliano. Sin dalle battute d'esordio, egli denuncia agli stessi magistrati romani le contraddizioni giuridiche dell'atteggiamento persecutorio verso i cristiani, determinato da cieca ignoranza; di fatto, si perseguita il solo nomen christianum, senza esaminare se ciò comporti o meno una qualche attività delittuosa: un modo di procedere, questo, che risulta in contraddizione con i principi stessi del diritto. Dopo questa premessa iniziale, a partire dal settimo capitolo Tertulliano si propone di smentire anzitutto le accuse di natura popolare, peraltro mai escusse in tribunale, che attribuivano ai cristiani delitti quali l'infanticidio, culti di sangue, banchetti orgiastici. Si tratterebbe di crimini commessi in segreto, che in realtà rivelano come solo chi ne abbia effettiva pratica possa attribuirli ad altri; in questo modo, Tertulliano rovescia sarcasticamente l'accusa sugli accusatori secondo lo schema retorico della ritorsione, di grande efficacia polemica.
Viene poi finalmente affrontata e dibattuta con ampiezza la vera questione in gioco, ovvero il rifiuto dei cristiani di partecipare alle cerimonie che celebrano gli dèi della comunità e dello Stato (da cui l'accusa di ateismo, che non va intesa in senso strettamente religioso o filosofico, quanto come una forma di estraniazione da un rito di coesione sociale); un comportamento che pone il problema del loro atteggiamento verso l'imperatore (il reato di lesa maestà) e più in generale verso la società romana (la taccia di odio verso il genere umano). È importante notare a questo proposito come Tertulliano superi la posizione sin lì tradizionale, che si limitava ad assicurare preghiere e sottomissione all'autorità sulle orme di san Paolo, per specificare invece che anche i cristiani individuano nello status romanus il proprio orizzonte in questo mondo, tant'è che anch'essi sono coinvolti, pur senza colpa, in ogni sua vicissitudine (ed è chiaro il riferimento alle lotte civili che seguirono alla morte di Commodo e all'insediamento di Settimio Severo): un passaggio che avvia il cristianesimo all'abbraccio con Roma, che verrà consumato da Costantino un secolo dopo. Una breve presentazione delle dottrine cristiane, polemicamente contrapposte a quelle filosofiche, e un riferimento ai martiri cristiani concludono i cinquanta capitoli dello scritto, che termina con l'ennesimo, efficace slogan: cum damnamur a vobis, a Deo absolvimur («mentre siamo condannati da voi, siamo assolti da Dio»).
Al di là degli stretti contenuti storici e giuridici, ciò che ancora motiva alla lettura dell'Apologeticum è soprattutto la straordinaria capacità di Tertulliano di variare in continuazione il registro stilistico ed espressivo della sua scrittura; anche solo un'occhiata distratta al testo latino permette di cogliere frasi ampie e distese, di impronta ciceroniana, immediatamente seguite da un andamento al contrario incisivo e spezzato, fatto di secche antitesi, di incalzanti proposizioni che si accumulano l'una dopo l'altra, di espressioni fortemente ellittiche che mettono a dura prova il traduttore, costretto a utilizzare molte più parole per rendere ciò che l'originale riesce a esprimere con un'asciuttezza che ricorda Tacito. Ne deriva un preziosismo a volte compiaciuto, a tratti baroccheggiante, sempre però in grado di sorprendere e intrigare il lettore, anche quello meno interessato alla dimensione religiosa del testo.


(©L'Osservatore Romano 14 luglio 2012)

1 commento:

Elio ha detto...

Ma quale genio di periferia...dal II al VI sec. l'Africa è stata la provincia più ricca dell'Occidente e non solo ,forse dello stesso Impero Romano. Cartagine con i suoi ottocentomila abitanti era la città più importante dopo Roma.
L'Africa era un'altra Italia per cultura e per vivacità.