sabato 28 luglio 2012

La nuova evangelizzazione e l'attualità dell'insegnamento di Gesù (José Octavio Ruiz Arenas)


La nuova evangelizzazione e l'attualità dell'insegnamento di Gesù


Ritorno al primo amore


di José Octavio Ruiz Arenas*


*Arcivescovo segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione


La nuova evangelizzazione non consiste nell'annuncio di un messaggio nuovo, diverso da quello di sempre, e neppure nella semplice utilizzazione di nuove strategie o di metodi nuovi e chiassosi per attirare la gente. In realtà si tratta di tornare al “primo amore” del quale ci parla il Libro dell'Apocalisse, quando rimprovera la Chiesa di Èfeso. 
La nuova evangelizzazione deve essere orientata a far sì che l'uomo e la donna di questa società secolarizzata tornino a vivere l'allegria della presenza e della vicinanza dell'amore di Dio nelle loro vite. Si tratta di ritornare alla freschezza del Vangelo, e farsi sorprendere e meravigliare dalla parola stessa di Gesù, come avvenne quando Egli iniziò la sua vita pubblica, e la gente che lo ascoltava si chiedeva «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità», e si meravigliava dei gesti compiuti da Gesù (cfr. Marco, 1, 27). Le sue parole erano non soltanto nuove, ma anche efficaci. La novità non era solo nel suo modo di parlare, o di fare, ma nella persona stessa di Gesù: il Verbo di Dio fatto carne, l'irruzione di Dio nella nostra esistenza. Pertanto, Egli è sempre nuovo per tutta l'umanità e, attraverso la grazia dello Spirito Santo, le sue parole sono sempre attuali.
La novità allora dobbiamo cercarla in primo luogo nel Vangelo stesso annunciato: è la “Buona Novella”, la proclamazione gioiosa dell'«avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura» (Lumen gentium, 5). Per questo, quando Gesù nacque nell'umile presepe di Betlemme, l'angelo disse ai pastori: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Luca, 2, 10-11). La Buona Novella è dunque l'annuncio del mistero pasquale di Cristo, della sua morte e risurrezione, che sin dal tempo degli apostoli la Chiesa ha annunciato con fedeltà a tutto il mondo.
Di conseguenza, la nuova evangelizzazione deve orientarsi a un rinnovato ascolto della Parola di Dio, per poter irradiare la freschezza, la perenne novità, il fascino del Vangelo. Si tratta quindi di riscoprire nella vita cristiana il punto centrale della Parola divina, come fonte di vita e di allegria, fondamento della nostra fede e della nostra speranza. Se la Chiesa vuole essere presenza effettiva nel mondo di oggi e adempiere il suo compito evangelizzatore, allora deve essere missionaria; ma per essere missionaria deve essere necessariamente una comunità di discepoli, seduta ai piedi del Maestro, che beve alla ricca fonte della sua Parola per andare ad annunciare il Vangelo.
Per questa ragione Benedetto XVI sottolinea la necessità che «la Parola divenga suo alimento affinché, per propria esperienza, i fedeli vedano che le parole di Gesù sono spirito e vita (cfr. Giovanni, 6, 63). Come annuncerebbero altrimenti un messaggio il cui contenuto e spirito non conoscono a fondo? Dobbiamo basare il nostro impegno missionario e tutta la nostra vita sulla roccia della Parola di Dio» (Discorso inaugurale alla v Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 2007).
La novità allora non significa qualcosa dal punto di vista temporale, qualcosa che nasce o appare per la prima volta, ma piuttosto dal punto di vista qualitativo, come qualcosa di nuovo perché si presenta in modo attraente, meraviglioso, pieno di vita. Evangelizzazione “nuova” poiché mostra la vera strada per trovare Cristo, che viene a dare risposta alle inquietudini più profonde dell'essere umano, e a indicare qual è il vero significato della nostra esistenza, e inoltre, come affermava il cardinale Ratzinger, si tratta di darsi a Cristo stesso, giacché Egli è la Via (Giovanni, 14, 6) e l'unico capace di distruggere la povertà più profonda che l'uomo può avere, cioè l'incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria, e ciò può comunicarlo soltanto chi ha la vita, chi è il Vangelo in persona. In questo senso, come affermava già Paolo VI, la Chiesa che evangelizza «comincia con l'evangelizzare se stessa». (Evangelii nuntiandi, 15).
Però, d'altra parte, questa novità deve essere profondamente radicata nel cuore di chi ne fa l'annuncio e proclama la Parola. Per realizzare la nuova evangelizzazione dobbiamo lasciarci colmare da Cristo, dobbiamo avere questo «cuore nuovo e spirito nuovo» di cui parlava il profeta Ezechiele. E lo “spirito nuovo” che appare in quel testo non è distinto dallo Spirito di Dio stesso, che ci viene trasmesso nel battesimo, perché possiamo nascere a una nuova esistenza, lasciandoci alle spalle l'ostinazione a compiere il male, l'indifferenza, la superbia, l'individualismo, e riusciamo a spogliarci dell'uomo vecchio e delle sue azioni e rivestirci dell'“uomo nuovo” (cfr. Colossesi, 3, 9-10), con un cuore nuovo, un cuore di carne che, spronato dallo Spirito Santo, ci spinga ad agire per amore (cfr. Romani, 5, 5). Soltanto così diviene realtà l'invito che Gesù rivolgeva a Nicodemo -- e che rivolge a tutti noi -- di “rinascere” (cfr. Giovanni, 3, 1-8), cioè di aprirci all'azione dello Spirito Santo, di convertirci, di rinunciare al peccato e alla lontananza da Dio per entrare in un rapporto di amicizia e di amore con Lui.
In altre parole, la nuova evangelizzazione è una chiamata alla conversione e alla speranza, fondata sulle promesse di Dio, e che ha come certezza incrollabile la Risurrezione di Cristo, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni umano progresso, principio di ogni autentica cultura cristiana. Ne consegue, quindi, che la componente essenziale della nuova evangelizzazione sia cristologica, poiché in Cristo si fanno nuove tutte le cose (cfr. Apocalisse, 21, 5). Se raggiungiamo questo cambiamento radicale, riusciremo a colmarci di gioia per la vicinanza di Dio nella nostra vita, scopriremo la presenza di Cristo al nostro fianco, e proveremo un'allegria incontenibile, che ci porta a condividerla con gli altri. Per fare nuova evangelizzazione, la persona deve essere totalmente innamorata del Signore, e saziare la sete di Dio con la Parola di Cristo, come fece la samaritana. In quell'episodio della vita di Gesù vediamo che Egli non viene mai a toglierci qualcosa, ma anzi viene a offrirci il dono di Dio, a coinvolgerci nel suo amore. In realtà Cristo ha sete per saziare la nostra sete; e se lo accogliamo, ci sazieremo del suo Spirito, e come la samaritana andremo a proclamare il suo messaggio (cfr. Giovanni, 4, 29). «Come è importante per il nostro tempo scoprire che solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!» (Verbum Domini, 23).
Dunque, la Parola di Dio mostra la sua novità permanente anche per il fatto che, rivolgendosi a ciascuno di noi, considera l'aspetto storico della nostra realtà e continua a incarnarsi nell'oggi della storia, ci chiama ad ascoltare il grido delle persone, con le loro gioie e speranze, e a osservare le nuove realtà nelle quali viviamo, a discernere e rispondere ai nuovi segni dei tempi e a esaminare attentamente la cultura in cui siamo inseriti, per poter inculturare il Vangelo. In questo modo, la nuova evangelizzazione deve riprendere il dialogo tra fede e cultura, per cercare risposta alle nuove situazioni che stiamo vivendo, illuminandole con la luce della fede.
Giovanni Paolo II, per spiegare i parametri entro i quali va inserita la nuova evangelizzazione, coniò alcune espressioni che divennero in seguito paradigmatiche ogni volta che ci si riferisce al nuovo slancio missionario del quale deve essere provvista l'azione evangelizzatrice: «Nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione» (Discorso all'assemblea del Celam, Haiti, 1983).
Nuova nel suo ardore: si tratta dell'entusiasmo, la forza e la convinzione con cui il Vangelo viene annunciato. La chiave sta nel fatto che chi propone l'annuncio di Cristo sia un “uomo nuovo”, che ha accettato la conversione e sia profondamente unito a Lui, per conseguire la santità. Questo nuovo ardore implica tornare alla predicazione dei primi discepoli, uomini che, pur molto semplici, trasformarono il mondo con ciò che un termine neotestamentario chiama parresia: il coraggio per non tacere la verità, l'audacia per andare verso quelli che non vogliono ascoltare, l'operare spinti dal fuoco dell'amore divino, come fecero l'apostolo Paolo e i martiri alle origini della Chiesa, i quali non ebbero timore di fronte alle avversità, alla prigionia o alla morte.
Nuova nei suoi metodi: si tratta di un vero rinnovamento pastorale, che tralasci metodi ormai inefficaci e cerchi la qualità e la profondità nella forma di annunciare il Vangelo, mettendo in moto reali processi evangelizzatori, come fece Gesù con i discepoli, ma con gli attuali strumenti di comunicazione. Nuovi metodi, significa anche servirsi di tutto ciò di cui disponiamo per passare da una pastorale conservativa a una pastorale missionaria, che vada incontro a chi è lontano e, fedele allo Spirito Santo, cerchi di rispondere con coraggio e decisione alle sfide che occorre affrontare per realizzare la missione della Chiesa. Di qui la necessità di una forte creatività e -- come afferma il documento di Aparecida -- di una “conversione pastorale” che consideri attentamente il contesto storico nel quale è collocata la Chiesa, e conduca a vivere e incoraggiare una spiritualità di comunione e di partecipazione, nella quale si offra ampio spazio al dinamismo dei laici perché esercitino la propria leadership e responsabilità ecclesiale, come anche i giovani.
Nuova nella sua espressione: si tratta di cercare un linguaggio che, senza tradire il significato profondo dei misteri della nostra fede, sia comprensibile al mondo attuale e si adatti alle diverse situazioni e alle differenti culture. Ciò comporta un rinnovamento dei linguaggi tradizionali finora utilizzati nella catechesi, nella liturgia e negli altri mezzi di comunicare la fede. La Chiesa deve aprire un dialogo con la cultura attuale per annullare la distanza che separa l'uomo di oggi dalla ricchezza del Vangelo e fargli sentire la vicinanza e il desiderio di solidarietà e di comunione che emanano dalla cattolicità. Chiesa e cultura hanno bisogno l'una dell'altra. La nuova espressione esige, pertanto, uno stile di testimonianza, ed è dunque necessario che chi evangelizza testimoni con la propria vita e sia coerente con la sua fede. Alle origini della Chiesa infatti i primi cristiani erano convincenti per la loro testimonianza di vita, per il servizio disinteressato agli altri e per l'amore che li univa tra loro.
Queste nuove espressioni non riguardano soltanto le parole utilizzate nella comunicazione verbale, ma si riferiscono anche al linguaggio che scaturisce dal “comandamento nuovo”, dal comandamento dell'amore, che interpella al dialogo, al servizio, alla solidarietà, alla ricerca di giustizia, uguaglianza e promozione umana. La nuova evangelizzazione, ricordava Giovanni Paolo II, deve pertanto comprendere tra i suoi elementi essenziali l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa, strumento di retto orientamento quando occorra rispondere alle grandi sfide del mondo contemporaneo.
Durante il secolo scorso è divenuto sempre più chiaro che un'autentica conversione include un impegno per il bene comune. Il Sinodo dei vescovi del 1971 affermava che «l'azione in favore della giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci si presentano chiaramente come una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè la missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni situazione oppressiva».
La Chiesa, di conseguenza, è chiamata a trasmettere la “novità” sempre attuale del Vangelo, “novità” antica e perennemente nuova, quella novità che proviene dalla stessa persona di Gesù e dal suo annuncio dell'avvento del Regno in mezzo a noi. Si tratta dunque di presentarla con allegria ed entusiasmo, poiché la Parola che si annuncia deve incarnarsi nella nostra cultura e riempire di entusiasmo e di speranza quanti la ascoltano.


(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2012)

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