mercoledì 6 giugno 2012

Il maggiordomo collabora e ora punta alla grazia (Galeazzi)


Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:


Il maggiordomo collabora e ora punta alla grazia 


Dopo le ammissioni con il pm è caccia ai complici
La Santa Sede: il Papa ha la facoltà di perdonarlo


GIACOMO GALEAZZI


CITTA'DEL VATICANO


Per ora Paolo Gabriele resta in cella. Sua moglie e i tre figli abitano lì a pochi metri dalla Gendarmeria dov’è è recluso da due settimane. Nella stessa palazzina di via Sant’Egidio vivono la governante di Ratzinger, Ingrid Stampa e il ghostwriter papale monsignor Giampiero Gloder. Un gendarme all’ingresso vigila sulla loro privacy. La moglie del maggiordomo esprime il dolore per quel mercoledì di due settimane fa in cui «lo hanno portato via alle quattro di pomeriggio, da allora è lì in caserma e chissà quando uscirà». «E’ solo il primo dei numerosi interrogatori», spiegano in Segreteria di Stato a poche ore dall’apertura dell’istruttoria formale contro l’aiutante di camera del Pontefice. E aggiungono: «Con tutti i documenti riservati che aveva in casa, la sua posizione è pesante». «Il Papa può graziarlo in qualunque momento», specifica padre Federico Lombardi.
In Vaticano si applica il codice di procedura penale del 1913 e a «Paoletto» è stata sollevata l’imputazione di furto aggravato in quanto reato commesso da persona che frequentava abitualmente l’abitazione del derubato (il Papa). Cioè, abuso di fiducia. Dunque, collabora con i magistrati l’aiutante di camera sospettato di essere il «corvo». Un interrogatorio lungo, durato diverse ore, in due tranche (mattina e pomeriggio). Per l’accusa di furto aggravato, in caso di condanna, rischia una pena da uno a sei anni. In Curia lo descrivono come un uomo che, pur nella sua posizione di membro della «famiglia pontificia», parlava tanto, aveva molti contatti e interlocutori dentro e fuori i confini della Città leonina: parlava con monsignori, cardinali, amici fuori dal Vaticano, tra cui anche giornalisti. Raccontava cose riguardanti il Papa, si incontrava anche nei bar all’esterno del Vaticano, e in più si era abituato, dicono nelle Sacre Stanze, a fare fotocopie di tutto, di tutto quello che passava, dialogava con più persone. Vengono riferiti suoi contatti e rapporti di amicizia con officiali della Segreteria di Stato. Ma anche con almeno un paio di cardinali di primissimo piano nella Curia romana, con cui intratteneva molte conversazioni. Insomma, a più persone faceva confidenze, magari anche su cosa accadeva nell’Appartamento. E si tratta di tutti contatti su cui ora si concentra l’attenzione sia degli inquirenti impegnati nell’indagine penale, sia della Commissione incaricata dal Papa e presieduta dal cardinale giurista Julian Herranz, non a caso composta da porporati, gli unici autorizzati a indagare sui pari grado.
Ad accorgersi che qualcosa non funzionava è stato il segretario personale del Papa, Gaenswein, il quale, prima che Gabriele venisse arrestato, ha avuto con lui un animato colloquio, essendosi accorto che dal suo tavolo mancavano carte che erano lì poco prima. E tra i documenti trafugati (trovati in gran quantità in casa di Gabriele) vi sarebbero non poche carte gestite proprio da don Georg. Contesta invece l’accusa di ricettazione che il Vaticano ha ventilato verso chi ha pubblicato i documenti riservati il giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del libro «Sua Santità». «Si presuppone che le fonti avrebbero rubato i documenti originali e che questi siano stati passati ai giornalisti. Tutti i documenti li ho ricevuti in fotocopia. Gli originali devono essere in Vaticano. La cessione di fotocopie non è reato». In Curia non sfugge che i documenti del libro vanno dal 2006 (anno in cui Gabriele prende il posto di Gugel) a dicembre scorso. «Dopo la condanna, scontata ma mite, e il quasi certo perdono papale, scatterà il licenziamento», si osserva.


© Copyright La Stampa, 6 giugno 2012

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