venerdì 4 maggio 2012

Origini e storia della Penitenzieria Apostolica. Una premessa per la democrazia (Paolo Prodi)



Una premessa per la democrazia


di Paolo Prodi


È difficile in questa presentazione andare oltre a un ringraziamento caloroso per il curatore, Alessandro Saraco, e per gli autori che hanno affrontato le diverse facce del problema, dalle strutture interne della Penitenzieria e del suo archivio, dalla tipologia delle fonti in esso contenute sino alla sua rilevanza come straordinario contenitore di documenti di estremo interesse non soltanto per la storia della Chiesa ma anche per la storia politica, sociale ed economica. Qualsiasi mia valutazione aggiuntiva sarebbe, come esterna, presuntuosa e superficiale.
Questa presentazione ha già cominciato a funzionare molto bene prima della sua diffusione: la sua fertilità si misura già dagli interventi che compongono il volume che sarà presentato subito dopo questo (La penitenza tra il primo e secondo millennio) e che sarà seguito in futuro da tanti altri. Con il presente volume ci soffermiamo sulla porta che apre ai ricercatori la possibilità di un accesso per anni e anni ma esso ci fornisce anche qualche robusto assaggio della ricchezza contenuta nell'archivio. Certamente il presente volume è in qualche modo più un seme.
Mi soffermo solo su quello che è il problema centrale: il significato dell'istituto della Penitenzieria nella storia della giurisdizione ecclesiastica e più in generale della storia costituzionale dell'Occidente. Il problema viene posto nelle conclusioni di questo stesso volume con estrema chiarezza dal vescovo Gianfranco Girotti: «Mi sembra quanto mai opportuno (...) chiarire quello che da sempre è lo specifico della Penitenzieria Apostolica la cui competenza ricade esclusivamente sul foro interno, cioè l'ambito intimo dei rapporti fra Dio e il peccatore (...). Non è paradossale che la comunità ecclesiale è interessata prevalentemente a ciò che accade nel segreto della coscienza, dove hanno origine le piccole e le grandi cose, quelle che appaiono e quelle che non appariranno mai. La Gaudium et spes al n. 16 afferma che il Foro della coscienza è “il nucleo più segreto, il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria”».
Se l'Inquisizione ha rappresentato la frontiera esterna della giurisdizione della Chiesa, la Penitenzieria delle Chiese locali e della Chiesa romana, con la riserva dell'assoluzione di alcuni tipi di peccato ai vescovi e in particolare al Pontefice, ha sempre rappresentato l'organo interno della giurisdizione della Chiesa per lo sviluppo e il controllo della coscienza individuale nell'ecclesìa, il giunto di collegamento tra la coscienza, la comunità dei fedeli e la giustizia di Dio. Una storia che cambia nel tempo in rapporto alla giustizia degli uomini nella dialettica del foro interno con il foro esterno, con il diverso assetto del potere politico e giudiziario della società.
Non come storico della Chiesa ma come storico dei sistemi politici ritengo la presenza del foro interno una condizione essenziale per lo sviluppo del dualismo tra la legge positiva e la coscienza che ha permesso la nascita e la crescita dei diritti umani in Occidente, dello Stato liberale e della stessa democrazia: se è vero che la dottrina dei diritti naturali e poi l'illuminismo hanno permesso la nascita dei moderni diritti dell'uomo e delle costituzioni formali come leggi fondamentali dello Stato, è anche vero che queste conquiste sono frutto di una storia secolare di conflitti, tensioni e sopraffazioni che però hanno sempre permesso una distinzione dialettica tra la coscienza come foro interno (dell'individuo e della comunità), e la legge positiva del potere politico.
Dopo la Riforma e il Concilio di Trento, nel sistema europeo degli Stati e del cuius regio eius religio lo sviluppo della teologia morale e nella pratica la formazione di un'etica legata alle confessioni religiose diventano uno dei nodi fondamentali della vita culturale e civile europea.
Il declino del sistema dei casi riservati e dei tribunali episcopali si avrà nel mondo cattolico analogamente a quanto avviene nel mondo riformato e anglicano, anche se con un po' di ritardo per la maggiore resistenza della giurisdizione ecclesiastica e per le garanzie concordatarie, nel Settecento, in parallelo all'assorbimento di questi territori nell'ambito della giustizia statale.
La tensione si era trasferita in gran parte nelle controversie giurisdizionali, nella difesa delle immunità del clero e dei diritti ecclesiastici sopravvissuti al crollo degli ordinamenti universali all'interno dei singoli Stati, indebolendo sia l'impegno spirituale universale che la particolare realtà statale pontificia (con la grande eccezione delle missioni extra-europee come spazio ancora aperto, almeno sino al consolidamento degli imperi coloniali). Si possono avere differenti giudizi sul fatto che il prezzo pagato per mantenere un'indipendenza almeno relativa della Chiesa universale rispetto agli Stati sia stato o meno troppo pesante sul piano spirituale; si possono avere differenti giudizi sul peso che l'alleanza tra trono e altare ha avuto sulla vita delle Chiese locali; ci si può anche domandare quale sarebbe stato per l'Europa il prezzo da pagare se Francia e Spagna avessero seguito sino in fondo l'esempio inglese, formando proprie Chiese nazionali.
In questa nuova situazione il problema della giurisdizione e del foro cambia profondamente, subisce una metamorfosi che non può non investire gli organi supremi delle giustizia ecclesiastica. Da una parte si cerca di usare gli strumenti esistenti, di lotta e di accordo, per conservare una giurisdizione nell'ambito del diritto positivo, per la difesa dei diritti ecclesiastici. Dall'altra si cerca di costituire un canale universale e gerarchico, di costruire una giurisdizione capace di mantenere sotto la giurisdizione di Roma realtà che sono sempre più divaricanti.
Il Tribunale della Sacra penitenzieria apostolica, cresciuto come strumento per la concessione di grazie e dispense nel corso del Quattrocento (avendo acquistato giurisdizione ordinaria sul foro esterno nel 1484), era divenuto la più scandalosa e pingue fonte di rendita per la curia rinascimentale. Al momento quindi della lotta contro il luteranesimo essa era stata messa in secondo piano di fronte all'Inquisizione che poteva innalzare la bandiera pura della difesa della fede nei confronti degli eretici e soprattutto doveva garantire la pubblicità dell'abiura. Fatta oggetto di molti progetti di riforma, sempre ostacolati dalla resistenza degli interessi curiali (particolarmente forti dato il sistema della compravendita degli uffici) viene finalmente, con le riforme di Pio iv (1562) e Pio v (1569), sottratta al commercio finanziario e diventa lo strumento quotidiano per la costruzione di una nuova saldatura tra il foro penitenziale e il foro esterno della Chiesa. La Penitenzieria non ha certo più lo stesso rilievo sul piano del potere, l'ufficio passa anzi dai grandi penitenzieri del secondo Quattrocento e primo Cinquecento che dominavano finanziariamente la curia a un rango secondario, ma accresce la sua importanza come punto di raccordo e di controllo sulla disciplina ecclesiastica nel suo complesso. Mentre all'Inquisizione viene affidato il compito della difesa dall'eresia, della frontiera esterna, alla Penitenzieria (ora in gran parte in mano a membri degli ordini religiosi) viene affidato quello di tutelare l'uniformità e la disciplina interna del popolo cristiano. Ancora nella riforma di Innocenzo XII (1692) questa sembra essere la linea di demarcazione: la Penitenzieria può assolvere nel foro della coscienza gli eretici nelle regioni in cui l'eresia è diffusa (e dove quindi non sussiste il problema della denuncia dei complici), ma non nelle regioni, come Italia e Spagna, sottoposte all'Inquisizione.
Ai penitenzieri diocesani che nei confessionali delle navate delle cattedrali stabiliscono il collegamento tra i semplici penitenti e la giurisdizione episcopale corrispondono, con autorità maggiore, i penitenzieri delle grandi basiliche romane che dichiarano assolti le migliaia di pellegrini-penitenti che loro ricorrono ogni anno in nome del potere delle chiavi del Papa. Con le bacchette che i penitenzieri minori depongono dai monumentali confessionali delle basiliche romane sul capo dei penitenti si sottolinea ancora maggiormente il carattere giudiziario del loro intervento. Anche i penitenzieri minori però non possono dare l'assoluzione nei casi previsti dalla Bulla in coena Domini e in altri delitti particolarmente gravi (dall'abuso dell'eucaristia per scopi profani agli incendi dolosi) e soprattutto non possono concedere dispense dalla disciplina canonica: per tutte queste materie devono rinviare al cardinale penitenziere maggiore. Questi riferisce direttamente al Papa e risolve vivae vocis oraculo (cioè senza bisogno di un suo ordine scritto) i casi più complessi che pervengono da tutta la cattolicità. Lo strumento fondamentale su cui si basa la giurisdizione della Penitenzieria non è più il potere di derogare alle norme del diritto canonico (anche se questa funzione rimane) ma essere l'organo esecutore della Bulla in coena Domini ovverosia di quel processus generalis proclamato dal Papa il giovedì santo con l'elenco dei casi la cui assoluzione è a lui riservata, e delle censure e scomuniche relative. Alla tradizionale caratteristica di unire in un unico documento il potere legislativo e il potere generale di condanna o di assoluzione si unisce ora nella bolla la funzione di collegamento tra foro sacramentale e foro esterno penale della Chiesa con una nuova commistione che avrà importanti conseguenze sino ai nostri giorni. Lo scopo formale della riforma, di limitare la sua competenza al foro interno, non viene raggiunto. Al contrario si afferma anche nei secoli successivi la sua funzione di giunto di collegamento tra i fori interno e esterno, in utroque foro.
Con tutto questo suo carico di equivoco la Penitenzieria cambia però veramente pelle nella controriforma: rimane come sede di concessioni e dispense in deroga dalle norme canoniche, ma oltre a questo diviene per secoli la sede dove si elabora e si applica la disciplina ecclesiastica, il punto di riferimento per la teologia morale, per il nuovo sistema normativo della vita cristiana.
Ora nella crisi della giustizia statale, nello sviluppo abnorme della piazza mediatica dove tutto ciò che è interno viene messo in mostra come in un immenso e continuo foro pubblico senza alcun senso di una scelta interna tra bene e male, penso che la Penitenzieria, anche con le sue esperienze secolari, possa avere un ruolo importante per parlare a quest'epoca, per riportare in primo piano nella Chiesa, come ha scritto monsignor Girotti, il tema della coscienza, del peccato e del foro interno.


(©L'Osservatore Romano 4 maggio 2012)

2 commenti:

Andrea ha detto...

"...come storico dei sistemi politici ritengo la presenza del foro interno una condizione essenziale per lo sviluppo del dualismo tra la legge positiva e la coscienza che ha permesso la nascita e la crescita dei diritti umani in Occidente, dello Stato liberale e della stessa democrazia: se è vero che la dottrina dei diritti naturali e poi l'illuminismo hanno permesso la nascita dei moderni diritti dell'uomo e delle costituzioni formali come leggi fondamentali dello Stato, è anche vero...".

Tradotto: visto che la Storia aveva stabilito di far nascere in Occidente i gloriosi "Diritti dell'uomo" e le "Costituzioni formali" (vedi il micidiale stemma della "Monarchia Costituzionale" francese, che segnalavo ieri commentando con GR2 "Ben.XVI al Gemelli.."-ieri,15:02 ), allora si è servita della distinzione fatta dalla Chiesa tra "foro interno" (coscienza) e "foro esterno" (comportamento costatabile).

Tradotto ancora: la coscienza ha sempre ragione - faccio quello che mi pare, e "nessuno mi può giudicare" (proprio come diceva la canzone degli anni '60: gli anni del passaggio dell'Occidente dalla condizione di "minorità" a quella "adulta", tanto cara a Romano Prodi)

Anonimo ha detto...

toh,chi si rivede e risente,il mio ex professore di storia all'università di Bologna,non che ne sentissi la mancanza,ma noto che gli anni sono passati e lui dice ancora le stesse cose di allora,forse per lui è rimasto tutto sospeso nell'aria,con le sue dottrine dossettiane di cattolico adulto(a proposito,le facoltà prodiane sono ancora tutte lottizzate come ai bei vecchi tempi,ah,le baronie,dure a morire!)GR2;(