sabato 5 maggio 2012

Non fu colpa dell'albero. Tensione religiosa e ricerca scientifica (Angelo Scola)



Tensione religiosa e ricerca scientifica


Non fu colpa dell'albero


Pubblichiamo stralci dell'intervento che il cardinale arcivescovo di Milano ha tenuto il 3 maggio a Roma nel convegno «Una vita per la ricerca. La ricerca per la vita» per il cinquantesimo anniversario dell'istituzione della Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.


di Angelo Scola


Teofilo, patriarca di Antiochia (ii secolo), venerato come santo, commentando la proibizione di mangiare dell'albero della scienza nell'Eden, propone due annotazioni di grande acume e attualità. Innanzitutto osserva che la proibizione non deriva dalla pericolosità del frutto dell'albero, anzi: «L'albero della conoscenza era buono, come anche era buono il suo frutto. Non fu l'albero, come si pensa, ad apportare perdizione, ma la trasgressione della raccomandazione. Non c'era infatti nell'albero nient'altro che la conoscenza, e la conoscenza è cosa buona certamente se se ne sa far buon uso».
La conoscenza infatti per Teofilo è volta a salvaguardare l'uomo, e per questo a riconoscere l'autorità di Dio. Prosegue, poi, il nostro autore: «Ma Adamo era ancora un bimbo, onde non poté trarre buon profitto dalla conoscenza. Poiché neanche ora un fanciullo, nato da poco tempo, si può nutrire con pane; ma viene dapprima nutrito con latte, quindi con l'avanzare dell'età si avvia verso cibi più solidi». È già presente in questo antichissimo testo una chiara dinamica evolutiva o, più propriamente, il concetto di sviluppo della conoscenza e, quindi, della scienza, della necessità della ricerca.
Alla luce di queste parole occorre ribadire, ancora una volta, che contrapporre alla ragione scientifica una fede cristiana e, più in generale, ogni espressione religiosa riducendola a convinzione soggettiva e non razionalmente documentabile, va contro il respiro di una “ragione larga” che non è riducibile a pura razionalità logico-matematica ed empirico-sperimentale.
Eppure talune posizioni presenti nella cultura odierna negano oggettività alla fede. Oggettività che di fatto viene attribuita alla scienza sperimentale in se stessa invece sempre falsificabile, a cui sola spetterebbe, se non una definizione, di certo una descrizione tendenzialmente compiuta dell'uomo: si diffonde sempre più infatti, soprattutto in forza delle strabilianti scoperte nel campo della biologia, della bio-chimica e delle neuroscienze, una vulgata che tende a ricondurre tutte le espressioni e le facoltà dell'umano a pure attività cerebrali. Queste in prospettiva potrebbero, si afferma, diventare addirittura artificiali. Non sarebbe allora più possibile, a rigore, parlare di un soggetto personale, dotato di una dignità intrinseca, portatore di diritti e di doveri. L'uomo non sarebbe altro che «il suo proprio esperimento». Tuttavia questo riduzionismo biologista lascia insoddisfatto il cuore dell'uomo che non vi trova rispondenza alle domande profonde della sua intelligenza e allo spessore antropologico della sua esperienza.
Vorrei perciò offrire uno spunto per mostrare come ricerca scientifica e ragioni della fede camminino insieme e insieme -- senza confusioni e senza antagonismi -- reciprocamente si illuminino, secondo l'originario ideale di Dio creatore e pur sempre con le conseguenze della ferita del peccato originale.
In riferimento alla Sacra Scrittura, san Gregorio Magno ha un'espressione bellissima: «La Scrittura cresce con chi legge». Una affermazione questa che ha trovato nella parola ruminatio (della stessa Scrittura), tanto cara ai Padri, la strutturale apertura alla ricerca propria della rivelazione cristiana. Già nel Libro dei Salmi si trova scritto: «Una parola ha detto Dio, due ne ho udite» (Salmi, 62, 12). Quindi la verità piena della divina rivelazione si rende accessibile progressivamente e in forme molteplici: «Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio “alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebrei, 1, 1-2)» (Dei Verbum, 4). E questo a causa della sua insondabile ricchezza.
La Scrittura non è un prontuario di formule o di ricette già fatte, a disposizione per l'uso. Apre l'intelligenza e chiama in causa la libertà del soggetto, argomenta e “discute”, lotta come Giacobbe allo Yabboq. Tutto questo nella coerenza del canone, dell'unità del testo, della comunità credente: «La Scrittura ha bisogno dell'interpretazione e ha bisogno della comunità in cui si è formata e in cui viene vissuta» (Benedetto XVI, Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008). Ecco perché è possibile parlare di settanta significati per ogni versetto biblico, anzi di un settantunesimo ancora da scoprire, attraverso la ricerca. Del resto l'omaggio della fede alla ricerca non può trovare formula migliore dell'affermazione di Agostino: Si comprehendis non est Deus».
La classica definizione anselmiana: Fides quaerens intellectum ribadisce il carattere di ricerca cui la fede apre. Ben lontana dal fraintendimento di chi scambia la limpida solidità del dogma e la proclamazione veritativa del kèrygma con i tratti arcigni dell'imposizione e della fissità. Tommaso giunge a dire: In fine nostrae cognitionis, Deum tamquam ignotum cognoscimus. E in altro punto: Actus autem credentis terminatur non ad enuntiabile sed ad rem. La fede si paragona incessantemente con la realtà.
Per venire ai nostri giorni von Balthasar, commentando un versetto di Giovanni -- «Quando verrà Lui, lo Spirito di verità, vi guiderà a tutta la verità» (16, 13) -- afferma che: «Le cose non sono mai così manifeste che non si possano ulteriormente manifestare. Perfettamente trasparente può essere un dato di realtà, ma un dato non è una cosa esistente, bensì solo uno dei suoi aspetti, collegato con cento altri aspetti ignoti. L'intimità delle cose tuttavia è quanto forma il loro “valore”». Quale equilibrio nel rapporto scienza e fede emerge da queste affermazioni.
In questa prospettiva appare il carattere dialogico della verità: «Così l'analisi -- scrive ancora von Balthasar -- e la sintesi dell'intellectus dividens et componens si estende oltre la solitaria attività dello spirito verso la sempre nuova unione e distinzione tra io e comunità, per trovare nel movimento dialogico la sua pace e la sua (sempre aperta) conclusione».
Brilla qui quell'idea della interdisciplinarietà cui deve tendere per sua natura la ricerca. E questo perché la vita è inesauribile. Da essa viene la possibilità della capacità conoscitiva: Veritas creata est mutabilis (Tommaso d'Aquino).


(©L'Osservatore Romano 5 maggio 2012)

1 commento:

Andrea ha detto...

Veramente pessimo, mi dispiace molto dirlo.

Gli spunti "devianti" rispetto al poderoso discorso del papa al "Gemelli" sono moltissimi. Ne appunto qualcuno:

1- l' "albero della conoscenza" citato in apertura, con il sostegno dell'antico Santo di Antiochia, non ha nulla a che vedere con la volontà di conoscere lecitamente (data da Dio ai Progenitori in sommo grado), bensì con la volontà di conoscere "il bene e il male".
Questo significa precisamente voler applicare alle scelte morali uno schema cognitivo, cioè voler risolvere la scelta morale in preferenza utilitaria, negando la trascendenza della volontà rispetto all'intelletto.

In altri termini: la mia scelta se uccidere o no una persona non è (come insinuava il Serpente) da calcolare razionalmente (quali saranno le conseguenze, mi arresteranno o no ecc.), ma da fare in sede di LIBERA VOLONTA' (scelgo il bene dell'altro, non il suo male).

In termini ancora più espliciti: Dio proponeva ai primi esseri umani di conoscere solo il bene, esercitando la loro libertà in opzioni tutte buone, e non nella drammatica scelta (turbata dal tentatore) fra Vita e Abisso.

2- si passa abusivamente ad esprimere una simpatia alla visione evolutiva/accrescitiva senza limite della conoscenza.
Qui il Cardinale sottoscrive - come molto Clero modernista o semi-modernista - una cambiale in bianco alla struttura portante della cosiddetta "Modernità", che è: A- riduzione della realtà al pensiero
B- angelificazione del pensiero in senso accrescitivo indefinito: "Cercare sempre, non trovare mai". Dicevo nei giorni scorsi su questo blog che Cristo non dice "Cercate e cercherete", bensì "Cercate e troverete" "Boom di presenze..",3 maggio)
C- imposizione dello schema suddetto al Creato, che si vuole violentemente trasformare in "Madre Natura", indefessamente dedita ad auto-modificarsi e auto-accrescersi

3- Si afferma che "Contrapporre alla ragione scientifica la fede cristiana va contro il respiro di una "ragione larga"..".
Anzitutto nessuno contrappone la fede alla ragione scientifica, bensì sono i Sacerdoti Druidici della "Ragione" ad assaltare continuamente la fede; poi la risposta non può essere il richiamo a una "ragione larga" o alle "esigenze del cuore" (Pascal), bensì proprio l'uso sensato dell'intelletto (che NON è "Ragione" in senso illuministico: non è rappresentabile da parte di una prostituta fatta salire sull'altare di Notre Dame per espellere la Madonna, come GR2 ricordava).
In altre parole, la tensione (una vera guerra mortale) non è mai tra fede e scienza, ma sempre tra mistificazione arrogante del pensiero e suo uso rispettoso (di sé, degli altri, del Creato).
Se vedo un cancro scomparire dopo una preghiera, se uso la "Ragione" cercherò subito di dimenticare il fatto, se uso l'intelletto sarò pieno di ammirazione: la stessa ammirazione che provo guardando le opere di Dio, solo in grado maggiore.


Conclusione: il Cardinale, immemore di don Giussani, è completamente fuori strada.
Il nostro commento potrebbe essere: se è fuori strada lui, allora davvero la Chiesa (Clero) è "spesso in una situazione drammatica", come il Papa diceva a Pasqua.
Un semplice test: quanti sono i preti che provano gratitudine e non fastidio di fronte ai messaggi della Madonna, anche i più "ufficiali" (Lourdes, Fatima), e alla proclamazione dei Dogmi mariani dell' '800 e del '900 ?

Perché la gente non si confessa? perché sa che nella maggioranza dei casi il prete pensa che Eva e Adamo abbiano fatto bene a voler "conoscere il bene e il male"