martedì 15 maggio 2012

Il caso Orlandi-De Pedis nel commento di Giacomo Galeazzi


Riceviamo e con piacere e gratitudine pubblichiamo:


CASO ORLANDI LA NUOVA INCHIESTA


La scientifica nella chiesa dei misteri


Aperta la tomba di De Pedis, all’interno c’è il boss della Magliana. Accanto trovate oltre 200 ossa


GIACOMO GALEAZZI


ROMA


Specialisti Prima i marmisti hanno aperto il marmo del sepolcro, poi la polizia scientifica ha prelevato i reperti che verranno analizzati da un’antropologa forense
Sepolto come un Papa, rimosso come un bandito. Nella centralissima basilica di Sant’Apollinare, assediata da un’armata di telecamere e microfoni piovuti da ogni angolo del pianeta, ieri la polizia scientifica ha abbattuto muri e lapidi di marmo per arrivare a una granitica certezza e a un dubbio inquietante. È effettivamente il boss della Magliana a riposare nella triplice bara racchiusa in un sontuoso sarcofago, ma servirà una settimana di esami a Cristina Cattaneo, una delle antropologhe forensi più famose d’Italia (la stessa dei casi Yara e Claps) per escludere che tra le duecento cassette di ossa ci siano i resti di Emanuela Orlandi.
Il Vaticano ritiene «estremamente positiva» l’iniziativa della magistratura di ispezionare la tomba affinché «vengano compiuti tutti i passi per la conclusione delle indagini», commenta il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, assicurando che «la magistratura può contare sulla piena collaborazione delle autorità ecclesiastiche». Dunque è di De Pedis il corpo tumulato nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare: lo dicono le impronte. Ma per analizzare le altre ossa trovate nella cripta ci vorranno settimane. E il giallo sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sembra non finire.
Una vicenda che ieri ha mobilitato magistrati, dirigenti della squadra mobile, gli avvocati della famiglia De Pedis, Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, e gli esperti della scientifica incaricati di procedere agli accertamenti finalizzati alla ricerca dei resti della ragazza. L’accertamento è stato eseguito sotto un tendone nel cortile dell’edificio che ospita l’università dell’Opus Dei, adiacente la basilica. Un’iniziativa, quella di aprire la tomba, maturata al termine di un complesso iter giudiziario ed auspicata un po’ da tutti, in particolare dal momento in cui, nel corso del programma «Chi l’ha visto», nel settembre 2005, una telefonata anonima suggerì di «vedere cosa c’è nella tomba». Perfino il Vaticano, per anni poco collaborativo con la magistratura italiana, aveva dato il via libera. Gli esperti che hanno esaminato il cadavere, ben conservato grazie ai tre strati che compongono il sarcofago, hanno verificato, tramite gli esami dattiloscopici, che si tratta proprio del capo del clan che terrorizzò la capitale negli anni Settanta e Ottanta. Vestito blu, camicia bianca ingiallita: questi gli abiti indossati da De Pedis.
All’interno della bara non c’era altro. Inutile, a questo punto, il test del Dna, preso in esame in un primo momento se le condizioni del cadavere non avessero consentito l’immediata identificazione. Poi i resti ossei vicino alla bara e gli altri trovati all’interno di cassette probabilmente risalgono anche a 200-300 anni fa. La basilica, infatti, ospitava un cimitero prenapoleonico. Gli esami macroscopici daranno risultati precisi, anche se già ad occhio nudo è possibile stabilire quali siano le ossa più antiche. Un lavoro, comunque, lungo. Ci vorrà almeno una settimana prima che sia completato. I resti di De Pedis, per il momento, rimangono a Sant’Apollinare. Quando l’iter si concluderà, il cadavere sarà tumulato nella cappella di famiglia al Verano o cremato. La vedova non ha ancora deciso. Cioè che conta è che 22 anni dopo essere stato ucciso in una guerra tra malavitosi, la bara del boss della Banda della Magliana è stata finalmente aperta. Della figlia di un dipendente del Vaticano scomparsa nel 1983 all’età di 15 anni, nessuna traccia nel loculo. Ma gli altri resti ossei trovati saranno esaminati. Perché, come ha precisato il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, l’attività investigativa «è finalizzata alla ricerca dei resti di Emanuela Orlandi».


© Copyright La Stampa, 15 maggio 2012 

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi chiedo come sia potuto succedere che il corpo di un boss fosse inumata nella basilica di S Apollinare...nella Chiesa posVaticano II è successo anche questo!Affaristi,massoni,politici boss,monsignori,vescovoni e cardinaloni...l'autizzazione fudata dal progressista Poletti,pupillo di Montini!

Anonimo ha detto...

Montini non c 'entra niente,come niente ha a che fare Ratzinger con Schoenborn,non è sempre detto che ottimi maestri abbiano anche ottimi discepoli,basta guardare a Giuda Iscariota,discepolo di Gesù.....

Saturno ha detto...

Perché invece nella chiesa pre conciliare erano tutti santi lindi e pinti? Ma per favore...