domenica 6 maggio 2012

I non vedenti partecipi della vita sociale e religiosa. Incontro di studio promosso dal dicastero vaticano per la salute (O.R.)



Incontro di studio promosso dal dicastero vaticano per la salute


I non vedenti partecipi della vita sociale e religiosa


Meno del 5 per cento dei bambini con deficit visivi ha accesso a occhiali correttivi nei Paesi in via di sviluppo, dove, secondo le statistiche globali, risiede il 90 per cento circa delle persone con disabilità visiva parziale o totale. In effetti l'ipovedenza e la cecità, che secondo le statistiche pubblicate dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) colpiscono rispettivamente 246 milioni e 39 milioni di persone nel mondo, costituiscono ancora oggi minorazioni di grande rilevanza, sia in termini di salute e di integrazione sociale sia di carenza di accesso agli strumenti di prevenzione, cura e correzione, in particolar modo nei Paesi economicamente svantaggiati. Inoltre, nell'80 per cento dei casi, secondo le stesse statistiche, la disabilità avrebbe potuto essere prevenuta o potrebbe essere sensibilmente ridotta o annullata da strumenti di correzione, come gli occhiali, o da interventi chirurgici oggi considerati “di routine” in Occidente.
Sono queste le cifre fornite dall'arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, durante il convegno internazionale di studio sul tema «La persona non vedente: “Rabbunì, che io riabbia la vista” (Mc 10, 51)» che, iniziato ieri, venerdì 4 maggio, si è concluso questa mattina, sabato 5, a Roma.
«Nella situazione odierna caratterizzata dalla crisi economica -- ha detto tra l'altro il presule -- lo Stato spesso si ritrova cieco nei confronti della vulnerabilità della persona umana e dei bisogni che da questa vulnerabilità derivano; occorre quindi mettere o rimettere a tema la difesa dei soggetti deboli, come sono le persone cieche». Monsignor Zimowski ha evidenziato che dai non vedenti provengono «domande di relazione, di reciprocità, anche di accesso alle varie forme di servizio ecclesiale e di piena comunione nella comunità dei credenti». Secondo il presidente, «la risposta effettiva a queste domande può diventare l'elemento di verifica dell'efficacia pastorale, che assicura alle persone cieche una partecipazione piena alla vita della comunità cristiana come soggetti che hanno bisogno di ricevere, ma che sono anche capaci di dare e desiderano farlo». E «non mancano testimonianze preziose e struggenti di istituti religiosi, di associazioni, di parrocchie».
La Chiesa, ha precisato monsignor Zimowski, «intende farsi compagna di un pellegrinaggio che, nella “terra straniera” della cecità, può fare riscoprire la presenza discreta, a volte impalpabile e silenziosa, di un Dio che si rivela anzitutto come tenera comunione anche attraverso il segno di una comunità che intende anzitutto infrangere le molte e invisibili barriere mentali, che impediscono alle persone con disabilità visiva e alle loro famiglie di accedere al cuore della vita sociale ed ecclesiale». Per il presule «non si deve tuttavia trascurare che la presenza della disabilità, e in speciale modo quella relativa alla cecità, suscita una serie di domande spirituali anche sul senso della sofferenza e sul come viverla e valorizzarla». Ne consegue, pertanto, il dovere pastorale di annunciare «che Cristo ha elevato la sofferenza umana a livello di redenzione».
Durante i lavori del convegno organizzato dal Pontificio Consiglio e dalla Fondazione Il Buon Samaritano, che fa capo allo stesso dicastero, sono stati esaminati tutti i principali aspetti teologico-esegetici, così come quelli medico-scientifici, socio-pastorali e culturali dell'ipovedenza e della cecità ma anche della diffusione dei relativi strumenti di prevenzione e cura. 


(©L'Osservatore Romano 6 maggio 2012)

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