giovedì 3 maggio 2012

Dalla "Ecclesia in Africa" alla "Africae Munus", simposio alla Lateranense: intervista con mons. Adoukonou



Dalla "Ecclesia in Africa" alla "Africae Munus", simposio alla Lateranense: intervista con mons. Adoukonou


Dall’Ecclesia in Africa di Giovanni Paolo II all’Africae Munus di Benedetto XVI. Questo il titolo del seminario interdisciplinare che si è svolto all’Università Lateranense. Tra gli intervenuti al simposio, il segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Barthélemy Adoukonou. Davide Maggiore gli ha chiesto quale sia stato il percorso della Chiesa africana tra i due Sinodi del 1994 e del 2009, che hanno portato alla promulgazione delle due Esortazioni apostoliche: 


R. – Nel primo Sinodo la Chiesa si è sforzata di capire se stessa e di vivere come famiglia di Dio. Questo è stato un atto di inculturazione molto profonda. Nel frattempo, però, abbiamo visto che l’etnicità, il razzismo e tutte queste divisioni tra religioni vanno sempre avanti. Come facciamo oggi a meritarci il nome di famiglia di Dio? Il secondo Sinodo, con "Africae Munus", ha cercato di spingerci ad essere sale e luce del mondo. Questo significa che la forza di trasformazione della realtà, della società, che è la Chiesa, dobbiamo metterla in gioco. La Chiesa è stata detta “Sacramento di salvezza per il mondo”. Con il Battesimo siamo diventati, ciascuno di noi, uomini nuovi, e dobbiamo cambiare la cultura, la società. I due Sinodi si completano in qualche modo: si può dire che il primo Sinodo si è svolto all'insegna della cultura, mentre l’attuale Sinodo, che abbiamo finito e che cerchiamo di mettere in pratica, mette l’accento sulla storicità dell’uomo, sulla trasformazione e la forza che spinge verso il futuro.


D. – L’attualità internazionale, purtroppo, ci richiama spesso alle tante ferite sofferte dalla terra d’Africa. In che modo le Chiese del continente possono, attraverso l’annuncio della buona notizia del Vangelo, dare speranza ai popoli africani?


R. – Il problema non è impegnarsi a fare questa o quella cosa, ma essere quello che Cristo ci ha chiamati ad essere, cioè Chiesa, forza di trasformazione e di solidarietà. La Chiesa si è impegnata tanto, anche nel passato, e continuerà ad impegnarsi nel campo della salute, della formazione, dell’educazione, in tutti i campi sociali. La Chiesa è da sempre presente e continuerà ad esserlo ancora di più, perché prende coscienza di ciò che è, e quindi, vuole, partendo da lì, trasformare la realtà.


D. – Come la Chiesa può contribuire a far superare ai popoli d’Africa le divisioni di molte nature - culturali, etniche e politiche - che spesso li attraversano?


R. – Se la Chiesa è fedele a se stessa, ad essere quello che deve essere, cioè questa società umana riconciliata, questa famiglia umana riconciliata, la famiglia delle nazioni, il corpo di Cristo, se siamo veramente questo abbiamo la risposta a tali questioni.


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