venerdì 18 maggio 2012

Credenti e non credenti dialogano su bellezza e mistero: aperto il Cortile dei Gentili di Barcellona (Radio Vaticana)


Credenti e non credenti dialogano su bellezza e mistero: aperto il Cortile dei Gentili di Barcellona


“Arte, bellezza e trascendenza” è il tema del nuovo appuntamento europeo del “Cortile dei Gentili” apertosi ieri sera nel Museo nazionale di arte catalana di Barcellona. Anche quest’incontro della struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti è promosso, come di consueto, dal Pontificio Consiglio della Cultura. Dal capoluogo catalano il nostro inviato Fabio Colagrande: 


Fuori, Bruce Springsteen con la sua ‘The Rising’ fa ballare i giovani spagnoli. Dentro al museo, sotto lo sguardo severo del Cristo ritratto in un affresco romanico, studiosi laici e religiosi si confrontano sull’arte come anima della cultura e richiamo al trascendente. Sono le coincidenze magiche di questa notte barcellonese dedicata alla bellezza e alla spiritualità. “Da giovane ero anticristiano, poi sono stato ateo, agnostico, ma non ero soddisfatto. Oggi sono una persona che cerca continuamente. E nell’amicizia e nell’arte trovo il superamento di una scissione interiore”: la confessione di uno dei relatori, Rafael Augullol, docente di estetica, centra il tema di questo ‘Cortile’ spagnolo. “Mistero e tensione spirituale s’incrociano nella bellezza e nella religione e aiutano a combattere la superficialità” ricorda il cardinale Ravasi. E ciò – come spiega Micol Forti, dei Musei Vaticani - è vero anche nell’arte sacra contemporanea che non interpreta la tradizione come sterile ripetizione ma impulso a ritrovare l’autenticità dell’interiorità. “Il bello è la prova sperimentale che l'incarnazione è possibile” scriveva Simone Weill. Il pensiero va anche a un Europa in crisi dove si taglia la cultura. “Ma l’arte e la cultura, spesso trascurate, non moriranno mai – commenta il critico Giralt-Miracle - abbiamo visto invece la finanza e l’economia dove ci hanno portato”. In sala i bei canti trobadorici di Lídia Pujol sottolineano la malinconia di queste riflessioni. 


Sul significato della scelta del capoluogo della Catalogna per questo nuovo momento di confronto Fabio Colagrande ha intervistato uno dei partecipanti, il prof. Francesco Torralba Roselló, teologo, filosofo, docente all’Università Ramon Llull di Barcellona: 


R. - Credo che Barcellona sia una buona scelta soprattutto perché da sempre è stata una terra di dialogo, una terra di convivenza tra forme differenti di spiritualità e soprattutto una bella espressione del dialogo tra credenti e non credenti da secoli, soprattutto perché l’oggetto di lavoro, la bellezza, è una cosa che tanto per i credenti come per i non credenti, è veramente un punto di incontro dove si può soprattutto riflettere su quello che unisce le due comunità, soprattutto quello che accomuna gli uomini indipendentemente da ciò a cui credono.


D. - Possiamo dire che la bellezza è rivelatrice di Dio?


R. - Quella è la prospettiva soprattutto dei credenti. Per quanto mi riguarda la mia tesi è questa: la bellezza della naturalezza, la bellezza dell’arte, la bellezza della musica sono già una manifestazione, una rivelazione della bellezza di Dio. Ma nella prospettiva dei laici, dei non credenti, la bellezza è soprattutto una chiamata alla trascendenza, al mistero, alla riflessione; è come un simbolo che fa pensare a cosa siamo, qual è il senso della vita, qual è il nostro ultimo fondamento. Questo non significa che si arriva direttamente a Dio, ma credo che anche i non credenti, vedano nella bellezza una via che porta al mistero, quanto meno al mistero del mondo.


D. - Quale linguaggio devono parlare oggi i credenti, secondo lei, se vogliono incontrare chi non crede?


R. - Soprattutto un linguaggio chiaro, un linguaggio non tecnico, che possa arrivare a tutti. Il linguaggio teologico o intra-ecclesiale è un linguaggio che risulta spesso non comprensibile agli altri; è un linguaggio che ha una tradizione, una forza simbolica, un’eredità di tanti secoli, fatta di tanti differenti concetti, che spesso la persona che non conosce, non conosce i testi biblici, si trova ad essere praticamente “un analfabeta simbolico”, un’analfabeta che non può decifrarne il senso. Per questo, il linguaggio deve essere soprattutto chiaro; deve essere un linguaggio che va alle cose più essenziali della Fede, cioè a quel messaggio che veramente rifletta il cuore del Credo. Penso che questo sia il messaggio di Gesù; il linguaggio di Gesù è un linguaggio per tutti. Gesù soprattutto nella sua predicazione ha parlato attraverso le parabole, i simboli, cercando di arrivare a tutti attraverso le immagini, anche a quelli che non erano formati, non sapevano leggere libri. Il linguaggio deve essere così; un linguaggio adattato all’uomo e alla donna di oggi.


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