sabato 14 aprile 2012

Quando la fede genera cultura. Il giornale del Papa in cento editoriali. Intervento del card. Angelo Scola

Il giornale del Papa in cento editoriali

Quando la fede genera cultura

Anticipiamo il testo dell'intervento che il cardinale arcivescovo di Milano tiene nel pomeriggio di venerdì 13 aprile a Milano, nella Sala Buzzati, in un incontro organizzato dalla Fondazione Corriere della Sera -- con il sostegno di Fondazione Cariplo -- per la presentazione del libro Uno sguardo cattolico. Cento editoriali dell'Osservatore Romano (Milano, Vita e Pensiero, 2011, pagine XVI + 270, euro 16). Partecipano anche il presidente della Fondazione Corriere della Sera, Piergaetano Marchetti, il ministro per i Beni e le attività culturali del Governo Italiano, Lorenzo Ornaghi, il direttore del «Corriere della Sera», Ferruccio de Bortoli, e il direttore del nostro giornale.

di Angelo Scola

Considerando la pubblicazione che oggi viene presentata, e ancor prima il volume Singolarissimo giornale. I 150 anni dell'«Osservatore Romano» (Torino, Umberto Allemandi & C., 2010, pagine 285, euro 30), che costituisce una cornice preziosa per meglio comprendere la ricchezza di questa selezione di cento editoriali della testata vaticana «pubblicati negli ultimi quattro anni -- da quando, cioè, con il numero del 28 ottobre 2007 ha avuto inizio l'attuale rinnovamento del quotidiano» (p. XIV), un dato storico ha suscitato in modo particolare la mia curiosità. Si tratta del singolare legame che unì Giovanni Battista Montini prima e Paolo VI poi a «L'Osservatore Romano». Né poteva essere diversamente, in forza della fine sensibilità culturale e dello sguardo veramente cattolico che, fin dagli inizi del suo percorso sacerdotale, contraddistinsero il giovane monsignore bresciano.
Varrebbe la pena riprendere in mano il testo citato dall'attuale direttore, Giovanni Maria Vian, nella sua introduzione al volume. Mi riferisco all'articolo Le difficoltà dell'Osservatore Romano, pubblicato il 1° luglio 1961, sul numero speciale uscito in occasione del centenario di fondazione, dall'allora arcivescovo di Milano. È uno scritto noto, molto acuto, di grande respiro e attualità, la cui lettura raccomando vivamente.
Voglio tuttavia fare riferimento a un altro testo montiniano che, da un diverso punto di vista, suggerisce a mio avviso una prospettiva adeguata per comprendere la singolarità dell'apporto che «L'Osservatore Romano» offre più che mai all'odierna società plurale.
È un breve scritto, pubblicato nel 1946, alla fine della seconda guerra mondiale, come introduzione a una voluminosa opera di presentazione dello Stato della Città del Vaticano (cfr. Vaticano, a cura di Giovanni Fallani e Mario Escobar, Firenze, Sansoni, 1946, pp. VII-XIII; pubblicato in Istituto Paolo VI. Notiziario, n. 17, pp. 11-16). Sebbene i responsabili del notiziario dell'Istituto Paolo VI abbiano voluto farlo comparire sullo stesso quaderno e immediatamente prima dell'articolo sopra citato, nel testo in questione non compare un riferimento esplicito all'«Osservatore Romano»; descrivendo le peculiarità del Vaticano, esso ci aiuta però a cogliere lo specifico apporto del giornale, così come si può poi anche evincere dalla lettura degli editoriali pubblicati.
In una prosa elegante e raffinata Montini esordisce rivolgendosi direttamente al lettore-visitatore dello Stato pontificio, e cerca di situarlo immediatamente di fronte alla singolarità di ciò che ha dinanzi: «Chiunque tu sia (...) non potrai sfuggire, appressandoti alla mole michelangiolesca della Basilica di S. Pietro e ai solenni edifici circostanti ad una spontanea, imperiosa domanda: quale interesse ha oggi per noi il Vaticano?», per poi ricavare che di fronte al Vaticano non è possibile rimanere indifferenti, concludendo: «Osservare e definire: qui sta forse la differenza psicologica della visita della Città del Vaticano con quella a qualsiasi altro grande monumento dell'antichità, il Foro Romano, le Piramidi, il Partenone, i resti di Ninive, o della civiltà degli Incas. Per questi basta osservare; qui bisogna anche definire. Qui c'è qualche cosa di superstite, di sopravvissuto, di presente, che merita un giudizio, che esige un incontro, che impone una riflessione, uno sforzo interiore, una sintesi spirituale» (ibidem, 11).
Forse «L'Osservatore Romano» non sollecita il lettore a questo stesso «definirsi», a questa necessità di «giudicare», a questo «incontro», a questa «riflessione», a ciò che, con linguaggio proprio del tempo, Montini chiama «sforzo interiore» e «sintesi spirituale»? A me sembra che la proposta culturale -- intesa nel senso proprio del termine, cioè come espressione dell'humanum -- offerta quotidianamente dall'«Osservatore», stimoli tutti a un lavoro di questo genere.
Con parole dell'allora cardinale Ratzinger potremmo dire che l'«Osservatore», e ovviamente i suoi editoriali in modo emblematico, siano espressione di cosa significhi che la fede genera cultura. Infatti, diceva l'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede in una celebre lectio alle conferenze episcopali asiatiche: «non esiste la nuda fede o la pura religione. In termini concreti, quando la fede dice all'uomo chi egli è e come deve incominciare ad essere uomo, la fede crea cultura. La fede è essa stessa cultura» (Cristo, la fede e la sfida delle culture, in «Nuova Umanità» 16, 1994, n. 6, pp. 95-118, qui p. 103).
Conviene in proposito aggiungere una importante considerazione sul nesso fede e cultura/e. A partire dal momento in cui la fede diventa cultura, essa si espone inevitabilmente a un altro singolare processo caratterizzato, in un certo senso, da un movimento opposto al primo. Se il movimento fede-cultura è centrifugo, esso suscita a partire da come le culture di fatto interpretano la fede che si dispiega in tutta la sua dimensione pubblica, un movimento centripeto.
Le culture, perché di culture si deve parlare in una società plurale come la nostra, “interpretano” la fede mostrandone in tal modo la rilevanza storica. Lo fanno in vari modi, non sempre rispettandone la vera natura, assai spesso riducendola se non addirittura strumentalizzandola come avviene in modo dolorosamente clamoroso nei fondamentalismi integralisti, spesso violenti.
Tra fede e cultura si crea una sorte di circolo ermeneutico: ininterrottamente dalla fede alla cultura/e e dalla cultura/e alla fede. Questo circolo è ricompreso in quello più ampio, ma caratterizzato dallo stesso doppio movimento centrifugo-centripeto, proprio del binomio evangelizzazione/inculturazione messo in luce a partire dall'Evangelii nuntiandi (cfr. n. 20).
A me sembra che il pregio degli editoriali, e più in generale della nuova fase dell'«Osservatore Romano», sia quello di situarli appropriatamente all'interno di questa grande sfida posta dal circolo fede-cultura/e per aiutare il lettore -- che è, non dimentichiamolo, sparso in tutto il mondo -- a vivere un'autentica esperienza ecclesiale. L'internazionalità, l'ecumenismo, il dialogo interreligioso, i grandi temi della bioetica e della scienza, dell'economia, così come il ricorso a collaboratori “curiosi” del mondo, esponenti di altre confessioni e religioni o laici, con uno speciale peso dato alle donne, individuano i tratti che, senza togliere all'«Osservatore Romano» l'aspetto, per altro ben delimitato di ufficialità e di autorevolezza, lo rendono uno strumento prezioso del necessario narrarsi e lasciarsi narrare di cui ha inevitabilmente bisogno una società plurale per tendere al massimo riconoscimento reciproco.
Nello scritto prima citato di Montini, il futuro arcivescovo milanese e pontefice, parlava, tra l'altro, «di diritti di Dio e della coscienza umana» (Vaticano, p. XIII). La formula «i diritti di Dio e della coscienza umana» riprende i due motti presenti sulla testata dell'«Osservatore»: uno religioso (non praevalebunt) e l'altro “laico” (unicuique suum), come a dire l'unità tra Dio e l'uomo nella proposta della verità e del bene della comunità umana. L'espressione montiniana, che vuole descrivere il compito pastorale del successore di Pietro, anticipa nei fatti in modo profetico l'insegnamento della dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, con cui il Vaticano II ha insegnato che i diritti di Dio e quelli della coscienza umana non sono assolutamente in contraddizione.
Ripercorrere i cento editoriali del volume Uno sguardo cattolico costituisce una riprova di questa verità.

(©L'Osservatore Romano 14 aprile 2012)

1 commento:

Andrea ha detto...

I diritti di Dio e quelli della coscienza umana non sono in contraddizione.
I diritti di Dio e "les droits de l'Homme et du Citoyen", urlati dai sanguinari della Rivoluzione Francese e delle successive ondate rivoluzionarie, sono in piena contraddizione.
La "libertà" proclamata è quella da Dio e dalla Legge Naturale, la "cittadinanza" è quella della "città dell'uomo" (Parigi...), da cui Dio è espulso.

Il "liberatore" è quello issato sulla colonna di piazza della Bastiglia: l'Angelo che spezza le catene, porta la luce e ha in fronte la stella a cinque punte, cioè Lucifero.

In definitiva, questo "liberatore" contrappone l'uomo a Dio; Dio (Cristo) Si spende completamente per l'uomo, perché lo ha fatto e sa che, per la Sua creatura, la vita e la Vita con Lui coincidono