giovedì 2 febbraio 2012

Qui e ora segni di qualcosa di nuovo. A colloquio con suor Nicla Spezzati (O.R.)

A colloquio con suor Nicla Spezzati

Qui e ora segni di qualcosa di nuovo

La vita consacrata non è fatta di numeri ma di persone concrete: «Uomini e donne personalmente chiamati da Cristo a rispondere a tale vocazione nella verità». Lo sottolinea in questa intervista al nostro giornale suor Nicla Spezzati, nominata dal Papa lo scorso 17 dicembre sotto-segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Un colloquio a tutto campo nel quale la religiosa evidenzia come la vita consacrata viva oggi «una stagione di trasformazione di modelli» che «permette di intravedere già qui e ora i segni di una vita nuova».

Benedetto XVI ha scelto nuovamente una religiosa per l'incarico di sotto-segretario del dicastero della vita consacrata. È un segno della sua attenzione per il ruolo svolto dalle donne in Vaticano?

Il mio pensiero filiale e grato va al Papa per l'affidamento benevolo con cui mi ha chiamata a tale servizio nella Chiesa. Non penso che la scelta di affidare a una religiosa l'incarico di sotto-segretario -- a seguire la strada iniziata da suor Enrica Rosanna nel 2004 -- si possa spiegare solo come segno dell'attenzione del Pontefice per le funzioni svolte dalle donne in Vaticano. E nemmeno possa essere collegata soltanto al fatto che la vita consacrata si esprime in numero notevole al femminile. Suppongo che questa scelta vada anche riferita a una visione culturale ed ecclesiale che riconosce la reciprocità efficace dei generi: liberati da ogni stereotipo e convenzione, essi sono chiamati a comporre, più che a separare, l'essere e il servire nella Chiesa. Benedetto XVI ebbe a evidenziare, in occasione del ventesimo anniversario della lettera apostolica Mulieris dignitatem: «La natura umana e la dimensione culturale si integrano in un processo ampio e complesso che costituisce la formazione della propria identità, dove entrambe le dimensioni, quella femminile e quella maschile, si corrispondono e si completano, evitando tanto una uniformità indistinta e una uguaglianza appiattita e impoverente quanto una differenza abissale e conflittuale». Quindi non penso solo a «un segno di attenzione», ma a una visione che fa memoria della vocazione alla reciprocità e alla complementarità, alla collaborazione e alla comunione, nella cifra dell'unità-duale dell'uomo e della donna nella Chiesa.

Si parla di nuova evangelizzazione. Qual è il contributo proprio dei consacrati?

L'evangelizzazione fa parte dell'anima stessa della Chiesa: non c'è Chiesa senza evangelizzazione e non c'è evangelizzazione senza Chiesa. Ogni cristiano ha il compito di rendere conto della speranza che è in lui, di raccontare la sua fede in Gesù Cristo agli altri uomini e donne. La memoria che corre nella Chiesa dai primi testimoni del Vangelo fino a noi, si sostanzia del vissuto dei consacrati in maniera eminente. Che cosa motiva la vita consacrata se non il primato di Dio, in Gesù Cristo, e l'adesione radicale al Vangelo, come forma permanente di vita? Si profila da questa ratio l'intimo legame dei consacrati con l'annuncio del Vangelo. La modalità dell'annuncio può diversificarsi: la predicazione della Parola o, come si esprimeva la cultura medioevale, la muta praedicatio, mediante la testimonianza o una vita silenziosa, radicalmente dedita al Signore. Se diamo uno sguardo alla storia, quanta parte dell'implantatio ecclesiae è stata operata dagli ordini monastici e religiosi nel mondo? Quanta cura è stata dedicata dai religiosi e religiose, e continua a esserlo nel presente, per l'edificazione delle chiese particolari, in terre di nuova evangelizzazione o nelle metropoli dell'anonimato religioso? Nel corso della storia molti istituti religiosi sono sorti con lo scopo dell'evangelizzazione. Un grande compito nella nuova evangelizzazione spetta alla vita consacrata nelle antiche e nelle nuove forme. La Chiesa possiede al riguardo una tradizione, ovvero un capitale storico di risorse pedagogiche, riflessione e ricerca, istituzioni, persone -- consacrate e non, raccolte in ordini religiosi, in congregazioni -- in grado di offrire una presenza significativa nel mondo della scuola e dell'educazione. In tale visione, tra i compiti affidati al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova evangelizzazione è indicato il pieno coinvolgimento degli istituti di vita consacrata, delle società di vita apostolica, delle nuove comunità. Penso altresì ad alcune istanze di senso circa il contributo proprio che la vita consacrata è chiamata a offrire, oggi. La nuova evangelizzazione ci invita a crescere nella consapevolezza che annunciare la Parola è un atto di fede, in cui riferiamo a Dio la potenza vitale della Parola, mentre riconosciamo la personale fragilità di testimoni e di strateghi. Ci invita a vivere il pudore di una Parola scrutata e contemplata a lungo, anche in comunità monastiche e non, affinché attecchisca e maturi in noi come Parola dell'annuncio. A progredire in un discepolato di controcultura, discepolato evangelico, che sappia creare «una nuova semiologia del Vangelo», affinché sia data a tutti la possibilità di leggere nell'umiltà dei segni la Parola di vita. Ad accogliere il coraggio della frontiera in cui la nostra presenza di consacrati, come novella martyria, diventi Parola narrata, appello alla vita, fermento di verità, nei non-luoghi dell'umano; negli habitat digitali, dove fluisce l'ambiguità delle parole che scarnificano la persona e la sua cifra trascendente. A invocare il dono della parresia evangelica nei luoghi post-cristiani, dove masse di persone non hanno più alcun rapporto con la Chiesa e il Vangelo di Cristo.

Il Papa ha invitato i religiosi a mettere al centro la Parola di Dio per rinnovare la loro vita. Come viene accolto questo invito?

A partire dal concilio Vaticano II, soprattutto dalla Dei Verbum, c'è un invito a tutti i cristiani, e in particolare ai religiosi, a porsi in obbedienza alla Parola di Dio e a farne il nutrimento quotidiano insieme all'Eucaristia. Benedetto XVI con la Verbum Domini chiede che la Chiesa si rinnovi mediante l'assiduità quotidiana alla Parola. I religiosi sono chiamati a questo in un modo speciale: uomini e donne dediti all'ascolto della Parola tentano di essere una sequentia sancti Evangelii nel mondo e per il mondo. Ma, per rispondere alla domanda preferisco far riferimento a dati concreti più che ad affermazioni di principio, espresse sovente nei documenti istituzionali, che noi consacrati stiliamo con particolare perizia e buona fede. I dati ci provengono dalle relazioni sullo stato e la vita degli istituti che i moderatori inviano alla Sede apostolica da ogni parte del mondo. In dette relazioni, con un ottimo quorum sul totale di testi inviati, viene annotato che la Parola di Dio è posta al centro della prassi di vita personale e di comunità. I cammini riferiti narrano della Parola in opera: costruisce la vita spirituale, illumina il discernimento, giudica lo stile di vita, chiama a conversione, sostanzia la comunione, provoca le decisioni fraterne per la comunità e la missione, sostiene il servizio dell'autorità. Un cammino certo lento, a volte ferito da ristagni e smarrimenti e, se disatteso, recuperato con umiltà; ma comunque un cammino in atto nella vita consacrata.

Come si può realizzare una convergenza apostolica tra istituti religiosi e nuovi movimenti ecclesiali?

Lungo i secoli nella Chiesa sono apparse diverse novità nelle forme di vita. Nel secolo appena passato abbiamo assistito non solo all'esperienza di nuove comunità religiose, ma anche a quella dei movimenti ecclesiali, all'interno dei quali la vita religiosa o consacrata è semplicemente una porzione. Credo che la convergenza non debba neanche essere posta come un obiettivo da realizzare a tavolino: se gli istituti religiosi e i movimenti sono davvero fedeli al Vangelo e lo tengono come loro fonte, allora la convergenza c'è già. Essa manca invece quando delle logiche di autoreferenzialità e di assolutizzazioni del proprio carisma vengono messe in atto senza gli altri e contro gli altri, fermando l'identità comunionale della Chiesa. Ma torno a ribadirlo: quanti sono fedeli alla Parola di Dio possono solo essere convergenti tra loro. In parte tale convergenza già si realizza in molte diocesi del mondo, attraverso la collaborazione in eventi ecclesiali. In tali occasioni si fa una concreta esperienza di ciò che vuol dire essere Corpo di Cristo, sentirsi membra gli uni degli altri.

Quale futuro vede per gli istituti secolari all'interno della Chiesa?

Non è ancora trascorso un secolo da quando gli istituti secolari sono stati riconosciuti dalla Chiesa. In passato essi hanno conosciuto una stagione fiorente. Forse oggi, come per tante forme di vita, anche per questi istituti si registra una certa diminutio. Credo però che sarà sempre necessario che degli uomini e delle donne vivano una vita conforme al Vangelo e siano in tal modo riconosciuti dalla Chiesa, senza vivere in comunità religiose o all'interno di forme di vita religiosa tradizionale. Benedetto XVI ha definito tale sequela Christi «seme di santità nel solco della storia». Tale identità, proprio perché protesa verso frontiere e stili ancora in movimento, è provocata nuovamente a ripensarsi in un contesto di Chiesa dove anche tutte le altre componenti -- popolo di Dio, consacrati, presbiteri e gerarchia, ma anche teologi e pastoralisti, canonisti, sociologi e storici -- stanno collaborando per la elaborazione di un nuovo paradigma di presenza e di evangelizzazione. Solo il Signore conosce il futuro di tutti noi, religiosi o consacrati in diverse forme; e il Signore continua solo a chiederci di essere fedeli al Vangelo. Questa fedeltà è l'unica reale preoccupazione che dovrebbe animarci.

(©L'Osservatore Romano 2 febbraio 2012)

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